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PERSONE

Fiorenzo Marco Galli

Non c’è scienza senza umanesimo

Da luglio 2001 è Direttore Generale del Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. “Il museo del divenire del mondo”, come recita un aforisma del fondatore Guido Ucelli a cui tiene molto. Al centro della sua attività direzionale pone il capitale umano, di cui Milano – afferma – è ricchissima.

DI MARCO TORCASIO

03 October 2022

Il prossimo 15 febbraio il Museo Nazionale Scienza e Tecnologia compirà 70 anni. L’idea fondante che ne segnò la nascita sopravvive al trascorrere del tempo?

Il Museo è nato nel 1953 sotto la spinta dell’imprenditore e umanista Guido Ucelli, con l’appoggio delle Istituzioni. Dopo aver visitato il Deutsches Museum di Monaco di Baviera (con cui oggi siamo gemellati) maturò in lui la convinzione che anche l’Italia meritasse un museo capace di raccontare “il divenire del mondo” a partire da un’idea di dialogo tra cultura umanistica e tecnico-scientifica. Idea che ancora oggi ispira e guida il piano strategico e di sviluppo di questa istituzione. Ucelli, parte di una generazione plasmata da una certa mistica risorgimentale, fu un imprenditore di grande valore fra coloro che hanno contribuito con orgoglio a cambiare volto al Paese. Ci riuscì scegliendo Leonardo da Vinci come figura di riferimento attorno alla quale costruire tutto, un intermediario tra passato e futuro, tradizione e innovazione. Il Museo nacque quindi sotto l’egida di Leonardo che è ancora il simbolo di questo luogo.

Leonardo come elemento di sintesi quindi…

Il nome di Leonardo accompagna il Museo dalla sua inaugurazione, avvenuta con una grande mostra che ne celebrava il cinquecentenario della nascita. Fernanda Wittgens (grande direttrice della Pinacoteca di Brera, NdR) diede al nascente museo un bellissimo fondo di opere dell’allievo vinciano Bernardino Luini e della sua scuola, tuttora esposte, come lascito del Leonardo pittore al nostro territorio.

È la componente umanistica a rendere forte il Museo?

La forza di un museo sta anche nella sua capacità di evolversi. Ho voluto fortemente il gruppo scultoreo dei Sette Savi di Fausto Melotti, con l’aiuto del Museo del 900 che ne è proprietario. Antichi pilastri di conoscenza e saggezza del mondo greco, il mito vuole che interrogati su chi fosse il più sapiente tra loro, si indicarono l’un l’altro senza scegliere. Uno di questi è Talete, a cui è attribuita la frase “Conosci te stesso” iscritta nel Tempio di Apollo a Delfi. E per conoscere se stessi è indispensabile che avvenga uno scambio tra competenze scientifiche e valori umanistici. È importante che in un luogo come questo si possano affermare simili concetti.

Che altro conta per il Museo? 

Comprendere quanto la vita sia complessa: chi determina semplificazioni esagerate non fa il nostro bene. E la complessità va affrontata e resa fruibile. Pertanto facendo questo mestiere abbiamo una grande responsabilità.

Lo sguardo sul futuro che sfide riserva?

Museologicamente non la sfida ma la gestione della sfida dell’innovazione tecnologica, che non deve diventare una complicazione. Nelle gallerie di Leonardo, ad esempio, è ben evidente: l’allestimento è suggestivo e l’interattività non è esasperata.

Quindi siete un modello di sviluppo anche educativo oltre che culturale?  

In Italia la parola museo rievoca purtroppo una certa staticità. Il Museo Scienza e Tecnologia è invece un luogo estremamente dinamico. Non passa mese che non ci siano novità e stimoli continui per bambini, adolescenti, anziani, famiglie e scuole. In questa fase, ad esempio, ci stiamo preparando alla possibilità di avere un vivaio all’interno del museo che ci consentirà di avere il valore aggiunto di un’attività economica qualificante e contemporaneamente disporre di serre didattiche, in un mix tra la vis economica tipica della città e la nostra missione e vocazione educativa. L’education però non è sviluppata in maniera frontale: quelle che negli altri musei si chiamano guide da noi sono animatori scientifici. Questo dinamismo è regolato da un investimento fondamentale in termini di capitale umano che qualsiasi istituzione dovrebbe avere a cuore. Un capitale di cui Milano è ricchissima perché città accogliente e attenta ai valori individuali.

Lo è davvero?

Sì. Da un bellissimo saggio di Eva Cantarella che racconta la fondazione di Milano si possono comprendere molte cose. Il detto “Milan col coeur in man” (Milano con il cuore in mano, NdR) ci ricorda proprio che i milanesi sono persone attive e generose. A Milano si viene, si lavora, si produce. E questa milanesità – che poi è anche italianità – è elemento identitario che il Museo deve saper rappresentare.

Il suo background è cento per cento milanese?

Mio prozio, il poeta Edoardo Firpo, era ligure. La mia famiglia invece ha origini comasche, di Cardina sopra il lago di Como. Milano mi ha accettato nonostante il mio caratteraccio.

Dov’è cresciuto?

Son cresciuto a San Siro, ma non era quella di adesso… Non era stata ancora “ligrestizzata”. C’erano le rogge, i gamberetti di fiume, le fattorie. Al bar del calcetto veniva a bere il caffè Mario Corso, che giocava nell’Inter e abitava in via Civitali. Mio padre aveva fatto costruire casa dall’architetto Sandro Alemano, sopra una collinetta in via Pinerolo. Da lì si guardava il monte Rosa e posso dire che i tramonti più belli della mia vita li ho visti a Milano. Una Milano che non c’è più. Anche io come il mio compianto amico Philippe Daverio non amo che lo skyline milanese sia stato devastato già all’epoca della Milano da bere da certe costruzioni. Al posto della mia casa oggi ci sono tre palazzi.

Cosa le piace allora della sua città?

Milano mi piace perché non è un “sistema” ma un convivere di communities. Accade nella moda che va dalla sartina fino a Giorgio Armani. Accade nel design. E oggi anche nel food, sempre più potente e in tante altre comunità distinte, a partire da quelle culturali.

L’intervista completa a Fiorenzo Marco Galli è stata pubblicata su Club Milano 64. Clicca qui per sfogliare il magazine.

Foto di Elena Galimberti.

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