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PERSONE

Alex Bellini

Alex Bellini risveglia le coscienze

Il divulgatore ambientale Alex Bellini ha raccolto nel nuovo libro Viaggio a Oblivia il suo pensiero ecologista, nato in oltre venti anni di esplorazioni naturalistiche. E invita a essere meno individualisti, senza ulteriori procrastinazioni.

DI MARZIA NICOLINI

09 December 2022

Nato e cresciuto tra le montagne della Lombardia, il divulgatore ambientale e recordman Alex Bellini ha iniziato sin da giovane a espandere i suoi confini, esplorando ogni angolo del pianeta sulla spinta di una fervente passione per tutto ciò che è natura e viaggio (quest’ultimo spesso e volentieri estremo). Classe 1978, Bellini ha visitato alcuni degli ambienti più ostili del Pianeta, prendendo parte a imprese straordinarie, dalla Marathon des Sables nel 2000, 250 km nel Sahara, all’attraversamento dell’Alaska in slitta, senza dimenticare la traversata prima dell’Oceano Atlantico (2005), poi del Pacifico (2008) da solo in barca a remi. Mental coach atletico e speaker motivazionale, ha partecipato a 4 TEDx Talks. Ora pubblica un libro per Feltrinelli, Viaggio a Oblivia. Perché dovremmo essere ecologisti ma non ci riusciamo. E spera che mettere in luce le nostre tante, troppe trappole mentali possa aiutare a invertire la rotta, il che significa in primis adottare un nuovo atteggiamento mentale di fronte alla deriva dell’ambiente

Quando nasce il tuo grande amore per la natura?

Fin da piccolo ho sempre cercato il contatto con il mondo naturale. Venendo da Aprica, per tanti anni – prima e dopo le mie due traversate oceaniche – mi hanno chiamato “il montanaro”. Lì, a casa mia, il contatto con la natura è viscerale. Le montagne che ti circondano talvolta rappresentano un abbraccio, altre volte una morsa. Questa dicotomia mi ha sempre spinto a cercare di conoscere il modo per andare oltre, alla ricerca di nuovi orizzonti oltre qualsiasi ostacolo. Attraendomi, e talvolta respingendomi, la natura ha dato forma ai miei sogni.

Come hai trasformato la passione in mestiere?

Vengo da una famiglia di viaggiatori, non in senso astratto, ma concreto, anche se per loro non era un mestiere.

Spiegaci meglio…

Mio padre è sempre stato appassionato di raid motociclistici africani. Per anni, nel periodo autunnale, ha viaggiato in Africa e queste sue avventure mi hanno molto ispirato. Il momento di svolta per me è stata la Marathon des Sables nel 2001, quando avevo 23 anni. Una corsa in autosufficienza per 250 km nel deserto del Marocco. Quell’esperienza ha rappresentato per me un punto di separazione tra la persona che ero prima e quella che sono diventata. A quel tempo non sapevo ancora come fare, ma volevo che il viaggio e l’esplorazione facessero parte della mia vita.

Quando hai deciso di scrivere questo libro?

Tutto nasce da una domanda molto semplice: perché un fenomeno della portata del cambiamento climatico, che metterà a repentaglio ambiente e risorse economiche e farà nascere nuovi conflitti socio-economici, produce una reazione pubblica così scarsa? La risposta che mi sono dato è che se vogliamo comprendere il mondo, dobbiamo innanzitutto comprendere il modo in cui gli esseri umani vedono se stessi. La crisi ambientale è spesso descritta come un problema ambientale, ma credo che sia più che altro un problema umano. Il ruolo della psicologia non è mai stato veramente compreso del tutto e laddove è stato compreso, è stato almeno in parte trascurato.

Il titolo del libro è Oblivia. Ma che cos’è, esattamente, la realtà descritta nel libro?

Oblivia è chiaramente un luogo utopico, in cui una persona può essere perfettamente al sicuro e a proprio agio, “felicemente insensibile” verso ciò che è reale. Ognuno di noi vive in questa bolla immaginaria fatta di trappole mentali e pregiudizi, che sono frutto della nostra mente, del nostro percorso di vita quotidiano, ma anche una risposta adattativa a un ambiente spesso ostile. Che lo si accetti oppure no, l’essere umano moderno, pur essendo la versione più sofisticata della sua razza, ha appoggiato sulle spalle uno strumento di navigazione, il cervello, che ha ereditato dall’uomo preistorico. Se si pensa alla lentezza del nostro processo evolutivo – nell’ordine delle centinaia di migliaia di anni – confrontata con la velocità con cui il nostro ambiente si è trasformato si capisce perché stiamo navigando nel mondo moderno con l’intelletto di un uomo dell’età della pietra».

Quali sono alcuni dei disastri ambientali che hai visto e toccato con mano e che più di tutti ti hanno turbato, se non sconvolto?

In questi anni di esplorazioni in giro per il mondo potrei raccontarne molti, e in Viaggio ad Oblivia ne riporto alcuni sconcertanti e assurdi. Uno su tutti: era il marzo 2019, stavo navigando sul Gange con il mio progetto 10 Rivers 1 Ocean, il cui fine è navigare i 10 grandi sistemi fluviali a bordo di zattere costruite con materiali di risulta locali. Ero a Varanasi, un luogo surreale. Gli indiani credono che il Gange sia un punto di passaggio tra cielo e terra, e che lavarsi tra le sue onde purifichi dai peccati. In tutto ciò il fiume più sacro dell’India sta morendo per mano dell’uomo, che lo considera la dea generatrice di tutte le acque, la madre generosa che disseta e guarisce. In pochi km ho contato numerosi scarichi di acque reflue e una grossa concentrazione di coliformi fecali. Un uomo sulla settantina, che sembrava il guardiano del pozzo, mi si è avvicinato allungandomi un secchio d’acqua per bere. Chiesi allora che l’acqua venisse fatta bollire sul fuoco per eliminarne i batteri. L’uomo sembrò sorpreso dalla mia richiesta e mi disse: “Il Gange è sacro, la sua acqua è pura. L’inquinamento è tutto nella tua testa!”. Lì ho capito che alla base dell’inquinamento c’è anche un grosso problema culturale che si intreccia con una matrice religiosa e culturale».

Concretamente e nel quotidiano, come può ciascuno di noi fare la sua parte per aiutare l’ambiente e ridurre l’impatto sul Pianeta?

L’economista statunitense Herman Daly ha osservato che molte delle nostre decisioni ambientali vengono prese come se la Terra fosse un business in liquidazione, destinato a chiudere. Gran parte degli impedimenti sono attribuibili alla nostra stessa evoluzione, ed è contro di essa che dovremo eroicamente lottare. Nella nostra visione generale del mondo, infatti, l’attuale coscienza individuale e collettiva non è all’altezza della sfida che abbiamo di fronte. Prima di chiederci cosa dovremmo fare per ridurre il nostro impatto, vale la pena chiedersi come dovremmo pensare, quale schema mentale più evoluto dovremmo adottare. Quindi non è il cosa, ma il come.

E quando si dice che ciascuno dovrebbe dare il suo piccolo contributo?

Oni individuo dovrebbe essere meno individualista e pensare più come una comunità. Non basterà infatti disinquinare i fiumi, ripulire gli oceani o piantare alberi per ripristinare un rapporto più gentile con il nostro Pianeta, se prima non saremo stati in grado di mettere in discussione il nostro atteggiamento individualistico.

Alex Bellini

Alex Bellini 
Viaggio a Oblivia 
Perché dovremmo essere ecologisti ma non ci riusciamo
Feltrinelli

In apertura, Alex Bellini, foto courtesy dell'autore.

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