Pao, tra gli street artist più rappresentativi del panorama italiano, partecipa a un progetto di riqualificazione urbana con un murales a tutt’altezza di 18 metri in cui campeggia un grande albero fiorito abitato da uccelli con colori sgargianti. L’abbiamo intervistato
DI PAOLO CRESPI
17 October 2023
L’occasione per incontrare Pao, al secolo Paolo Bordino, è l’inaugurazione (senza “svelamento”, sarebbe oggettivamente complicato) di un grande murales che si sviluppa su una verticale di 18 metri al civico 12 di via Amoretti, nel quartiere milanese di Quarto Oggiaro. Il titolo, Siamo tutti sullo stesso ramo, calza a pennello sull’immagine del grande albero fiorito abitato da tre mega passerotti di specie diverse, uno piumato, il secondo “d’acqua” e il terzo molto rigido e “vettoriale”, che rappresentano, se vogliamo, gli abitanti di un condominio, tra loro diversi e più o meno solidali…
Lo street artist, come accade sempre quando mette in pista opere di grandi dimensioni che coinvolgono spazi pubblici, ha lavorato in accordo con la pubblica amministrazione (nelle persone dei rappresentanti del Municipio 8 Giulia Pelucchi e Fabio Galesi) e sponsor dell’iniziativa è un giovane imprenditore, Cristian Trio, che ha fatto propria la logica di “give back”, ovvero della restituzione alla città attraverso un’opera di rigenerazione urbana, in una zona periferica come sono spesso quelle oggetto dei suoi investimenti di “flipping” immobiliare.
Dipende. In questo caso, per la realizzazione dell’opera mi sono bastati sei giorni di lavoro su un ponteggio mobile, ma naturalmente il progetto era partito sei mesi fa, con un confronto di idee, la scelta di un luogo tra quelli disponibili segnalati dal Comune di Milano e tutto l’iter burocratico per arrivare all’ok definitivo. Il momento di agitare gli spray e cambiare volto a un edificio è solo l’ultimo atto di un processo molto lungo e spesso irto di difficoltà. A Cristian Trio, che non conoscevo, ho mostrato all’inizio le mie tele (un altro aspetto della mia attività artistica, legato al circuito delle gallerie) e ho avuto subito carta bianca sul progetto. Meglio di così…
Dal punto di vista pratico, oltre a essere privo di vincoli – nelle grandi città le periferie si prestano di più e ovviamente nessuno si sognerebbe mai di dipingere sul Duomo di Milano – un edificio pubblico (le case popolari) o privato, deve avere almeno una facciata pulita, o con pochissime finestre, trovarsi naturalmente in un punto ben visibile ed essere facilmente raggiungibile con una piattaforma per poterci lavorare comodamente e in sicurezza.
Come dicevamo c’è un tema delle periferie e più in generale di angoli e posti che possano essere valorizzati e resi più vivibili, anche grazie al coinvolgimento dei residenti. In via Amoretti, ad esempio, la nostra più grande sostenitrice è stata la signora Mirella, la portinaia dello stabile. Gli spazi più difficili sono in realtà quelli più interessanti, dove il contrasto tra il “prima” e il “dopo” è spesso notevole e straniante.
La street art e i graffiti ci hanno insegnato che gli spazi pubblici possono essere luoghi di confronto e di discussione, anche accesa. Ci sono situazioni complesse in cui convivono realtà ed esigenze diverse, come ad esempio i giovani che vogliono divertirsi a tutti i costi e gli anziani che cercano solo la tranquillità… Qui, piuttosto che calare un intervento dall’alto, con i ragazzini che frequentano la piazza (piazzetta Capuana, un tempo degradata e oggi sottratta allo spaccio grazie alla presenza in loco di numerose associazioni che vi hanno aperto la loro sede, ndr), abbiamo dato vita a un progetto partecipato: la decorazione, mediante l’uso di spray e della tecnica dello stencil, dei grandi vasi da esterno che costituiscono altrettanti elementi di arredo urbano. Del resto anch’io ho iniziato un po’ così, dipingendo sui paracarri di Milano (i cosiddetti “panettoni”) i pinguini che sono poi diventati il mio marchio di fabbrica… all’epoca la sfida era uscire come “foto del giorno” sul Corriere della Sera. Obiettivo centrato, fin troppo…
Artisticamente sono un autodidatta, ma posso dire di aver auto, in modo molto fortuito, una formazione teatrale. Correva l’anno 1999 e io, obiettore di coscienza, feci domanda per il servizio civile. Mi fu assegnato l’ufficio di Franca Rame e Dario Fo, in corso di Porta Romana, dove l’attrice stava organizzando l’immenso archivio (oltre due milioni di documenti) legato al loro lavoro teatrale e politico. Mi appassionai a tal punto che prima di congedarmi Franca volle farmi un regalo: rifiutai il denaro ma accettai di seguirli come macchinista e fonico nelle loro tournée in giro per l’Italia, per un intero anno, con le repliche Mistero Buffo, La donna grassa e Una giornata qualunque. Loro, artisti totali, sono stati in un certo senso la mia scuola d’arte. E un elemento decisivo per sbloccare la mia creatività.
Nei prossimi giorni saremo a Lugano per il debutto di Enjoy the Truth, un progetto innovativo, temporaneo, che combina arte, pubblicità e attivismo per diffondere un messaggio importante: sensibilizzare sui temi della libertà di stampa e di espressione e contribuire al fondo per la difesa legale di Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks. Abbiamo trasformato i cestini del centro della città svizzera in facsimili delle lattine di bevande analcoliche, reinterpretate con loghi e slogan creativi: simboleggiano la lotta per un mondo più aperto e informato.