Ligure di origini e milanese d’adozione, con le sue creazioni è pioniere di una cultura del design che unisce pensiero, visione ed emozione. Opere best seller le sue, nate per riconnetterci con il nostro lato più creativo
DI MARCO TORCASIO
17 April 2023
Tra poltrone di Edra, antichi oggetti indiani e quadri del Seicento mi accoglie nella sua casa-studio all’angolo fra via Solari e via Stendhal, un tempo ex fabbrica di turbine e oggi anche spazio espositivo dall’animo irriverente e multiculturale. Stefano Giovannoni è stato tra i primi a comprendere, già in tempi non sospetti, che zona Tortona sarebbe ben presto diventata uno dei distretti più strategici per il design milanese. E di intuizioni vincenti è costellato tutto il suo percorso professionale che dagli anni Ottanta a oggi ha incasellato un successo dietro l’altro.
La passione per i Lego mi accompagna sin da bambino e mi ha portato a iscrivermi alla Facoltà di Architettura di Firenze. Dopo la laurea l’accesso al mondo del lavoro non si è dimostrato facile perché a quei tempi era necessario avere le giuste conoscenze nell’ambiente. Ho subito capito però che quello del design era un mondo più aperto, al quale accedere senza scendere a compromessi. Ho iniziato l’attività didattica all’interno dell’Università, ma alcuni incontri importanti, a metà degli anni ’80, con Andrea Branzi, Alessandro Mendini ed Ettore Sottsass, hanno influenzano fortemente il mio approccio al mondo del design. Insieme a Guido Venturini ho fondato il gruppo King-Kong Production avviandomi alla realizzazione dei primi progetti. Poi istituimmo insieme ad altri colleghi che gravitavano attorno alla Facoltà di Architettura di Firenze un movimento che prendeva il nome di Bolidismo. Un’avanguardia del design che, grazie a uno spiccato senso della comunicazione che anticipava la rete, ci ha dato risonanza in tutto il mondo, prima tra i lettori delle riviste specializzate, poi tra i collezionisti, fino alla produzione industriale che rimane il motore del design.
Sì, l’industria era a Milano. A Firenze si faceva ricerca ed era la fucina culturale più importante di quegli anni.
All’Università di Firenze ho incontrato colui che reputo il mio maestro più incredibile. Nonostante non sia poi così conosciuto, Remo Butti era realmente un genio oltre che un trascinatore, le sue lezioni nell’aula Minerva dell’ateneo fiorentino erano sempre le più affollate. Un personaggio chiave della scena Radicale fiorentina che ha formato generazioni di progettisti.
Fino agli anni Duemila il goal per ogni designer era l’invenzione di un oggetto del desiderio. Con il cambiamento del contesto generale e l’evoluzione del gusto collettivo quegli oggetti si sono rivelati non legati al consumo e ai bisogni reali. Sono venuti a mancare dei trend eterogenei poiché i linguaggi sono diventati molteplici. Ne è dimostrazione il mondo dell’abitare oggi più che mai ibrido.
Nel 1989 ho disegnato insieme a Guido Venturini il vassoio in acciaio “Girotondo”. L’icona dell’omino stilizzato, che poi è quella che ritagliano i bambini nella carta, è un riferimento che appartiene a tutti, legato al mondo dell’infanzia e della memoria. Qui è stata ritagliata nel metallo: una citazione che tutti possono capire e riporta il figurativo all’interno di un contesto, quello del design, da cui era stato bandito. Nel mondo oggi ne esistono oltre dodici milioni di pezzi, numeri che nessun designer ha mai eguagliato. Dopo il vassoio è nata un’intera famiglia di best seller declinata in cestini per il pane, fruttiere, spille che nella storia ha fatto segnare il record assoluto di vendite.
La filosofia alla base di Qeeboo guarda alle origini del design rivestendole le icone del nostro immaginario di emozione e fantasia. Si tratta di oggetti ironici, ludico-narrativi, figurativi, con stili e caratteri diversi, realizzati in plastica. Si rivolgono a un pubblico il più ampio possibile ma ciò che conta è che l’utente interagisca inventando nuove funzioni e cambiando le destinazioni d’uso, trasformano così sedie in tavoli, lampade in vasi e accessori.
Spesso in Oriente gli oggetti Qeeboo funzionano meglio che in Europa. Il design ha il potere di trasferire nell’oggetto la nostra identità culturale, l’identità dell’autore, del periodo storico in cui opera e dell’immaginario che lo contraddistingue.
Milano è stata per tanti anni ferma mentre le altre città europee crescevano. Poi hanno iniziato a succedere delle cose, sono nati nuovi quartieri e nuove architetture. Oggi la città non è affatto male… E poi con la mia moto a tre ruote riesco a percorrerla tutta in poco più di mezz’ora.
Eataly e il mercato del pesce. Ho una grande passione per la cucina. Pensi che nella mia dimora milanese ne ho tre.
Consiglierei loro di volare sempre alto. Oggi tanti giovani pur di fare – soprattutto nel design – fanno dei compromessi che piano piano portano a perdere identità. La ricerca è fondamentale, come lo è stata per la mia generazione, per fare cose che abbiamo una forza espressiva unica.
L’intervista a Stefano Giovannoni è stata pubblicata su Club Milano 67. Clicca qui per sfogliare il magazine.