Il fotografo marchigiano Pier Luigi Aldinucci, specializzato in viaggi e servizi nel campo dell’hospitality, ha intrapreso il suo percorso professionale all’ombra dei social media. Ma un po’ alla volta ha messo nel mirino immagini e situazioni che solo il mondo analogico è in grado di esprimere al meglio
DI PAOLO CRESPI
02 October 2024
Li ho scoperti per caso, dopo una visita a Villa Necchi Campiglio. Per me che vengo dalle Marche, la “piccola Toscana”, dove sono nato e vivo tuttora nei dintorni di Ancona, quest’angolo di paradiso fa parte di quella Milano segreta che si svela lontano dai luoghi classici, più turistici e monumentali. Mi ha sorpreso trovare, tra tutti gli animali esotici, proprio dei fenicotteri, oltretutto in un giardino privato, in pieno centro.
Il mio rapporto con la città è cambiato nel tempo. Anche attraverso le immagini prodotte da altri content creator ho messo a fuoco una Milano meno grigia e ingessata, particolarmente viva e ricca di fermenti culturali, dove c’è sempre qualcosa da fare. Forse non ci vivrei ma oggi riesco ad apprezzarla molto di più.
L’avvento dei social e in particolare di Instagram mi ha aiutato a concepire la fotografia come un lavoro vero e proprio, anche se non ancora prevalente. Dallo scattare con un telefono o con una digitale compatta, negli ultimi otto-nove anni sono passato all’uso di macchine “serie”, investendo tempo e risorse in quella che oggi è di fatto la mia seconda identità professionale. Da autodidatta, non avendo frequentato scuole specifiche, ho naturalmente letto e approfondito il più possibile per perfezionare la tecnica.
Pur nascendo alla fotografia professionale nell’era dei social, ho via via riscoperto anche la pellicola. All’inizio scattavo solo due-tre rullini l’anno, poi pian piano sono arrivato a utilizzarne anche trenta. Oggi fotografo per il 60% in digitale e per il 40% in analogico. Di questo metodo apprezzo soprattutto il potenziale risultato a livello di cromie, che non raggiungo con la semplice post-produzione di un’immagine digitale. Il digitale ha democratizzato la fotografia, ma avendo a disposizione solo 36 scatti, ogni scatto conta e devi farlo valere. La gratificazione è “a scoppio ritardato”: arriva dopo il laboratorio, lo sviluppo, la scansione. Vedi per la prima volta scatti che non ricordavi nemmeno di aver fatto e magari sono proprio quelli i migliori, perché contengono quell’imperfezione che dà senso a un intero lavoro.
Spesso chi ordina un servizio è in grado di apprezzare questo processo. Chi vuole solo risultati molto rapidi no.
È così, la dimensione del viaggio mi affascina da sempre e insieme al settore dell’ospitalità in alberghi di lusso è l’ambito che oggi mi dà le maggiori opportunità di esprimermi con le immagini.
Il Giappone. Vi ho compiuto l’ultimo reportage, il più lungo e il più interessante della mia carriera. Lo shock culturale che ho provato visitando il Paese è stato estremamente stimolante e spero di tornarci presto.
Tra i colleghi “storici”, l’americano Joel Meyerowitz, un caposcuola delle foto in ambito street. E tra gli italiani un grande maestro come Luigi Ghirri. Ultimamente seguo con interesse il lavoro di Lucy Laucht, una fotografa anglo-australiana autrice del volume fotografico Il dolce far niente: the Italian way of summer. Nei suoi scatti rivedo un punto di vista sulla realtà affine al mio.
Mi attirano molto i dettagli. Un tempo ero più minimalista, poi pian piano ho sviluppato una sorta di nostalgia. È questa – mi dicono – la sensazione che le mie foto trasmettono. In ogni caso cerco di scattare immagini che non siano troppo cariche. Mi piace ritrarre le texture, i dettagli, ma senza complicare troppo l’inquadratura.
A volte sì, alcune scene le catturo al volto. In altri casi, invece, c’è la ricerca di un approccio e le immagini sono il frutto di un’interazione con il soggetto. In Giappone, forse per esterofilia, le persone sono più propense a farsi fotografare.
La Sicilia, che intendo indagare soprattutto per la magnificenza della sua architettura barocca: Noto, Ragusa, Modica, Catania. E la stessa Palermo.
L’intervista a Pier Luigi Aldinucci è stata pubblicata su Club Milano 72