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PERSONE

Paolo Asti

Progettaere la modernità

È il fautore di un rinnovamento architettonico che trova la sua cifra in una trasformazione illuminata dell’esistente. The Liberty Tower e Il Cortile della Seta sono solo alcuni dei progetti noti del suo studio Asti Architetti.  

DI MARCO TORCASIO

01 February 2023

L’attività del suo studio spazia dal residenziale al commerciale e si concentra in particolare su operazioni di riqualificazione. Tra le più recenti troviamo quelle alla Velasca, riportata gli antichi fasti...

L’importanza della Torre Velasca per Milano va al di là dell’architettura. È il simbolo svettante di un periodo storico che ha rappresentato un cambio radicale nella connotazione di Milano in Italia e in Europa, poiché espressione di una rinascita post bellica importante. Potervi mettere mano è un onore in quanto milanese e italiano. La torre è stata sottoposta a vincolo della Soprintendenza delle Belle Arti nel 2012, quindi stiamo lavorando nel tentativo di recuperarne le specificità originarie, il cosiddetto “spirito della Velasca”. Portare avanti una trasformazione al passo con il nuovo millennio pur nel rispetto del linguaggio originario degli anni Cinquanta è estremamente difficile. Per quanto riguarda il timing, stiamo concludendo la prima fase dei lavori relativa alle facciate, al consolidamento strutturale, alla sostituzione degli elementi ammalorati e degli intonaci decorativi nel rispetto della sensibilità spaziale alla base del progetto originario. In ultima istanza cambierà anche lo spazio circostante perché che vogliamo restituire alla città una piazza che i milanesi non hanno mai vissuto come tale. La Torre, come una cattedrale laica, avrà finalmente il suo bel sagrato.

Come si inscrive il progetto nella contestuale rivoluzione urbanistica milanese?

Ne è espressione. Il progetto di rigenerazione della Torre è a cura di Hines, una società di gestione e sviluppo immobiliare americana, perché Milano è diventata una città d’interesse per il grande capitale immobiliare internazionale. Un place to be in cui vale la pena vivere, investire e lavorare.

In virtù di quali caratteristiche?

Milano è un hub centrale nella zona più produttiva d’Italia e rappresenterà sempre più un riferimento per il sud dell’Europa intera. A mio parere molti equilibri, in termini di interesse, si sposteranno verso il sud dell’Europa e non verso il nord per un motivo abbastanza semplice: si vive molto meglio da noi che non al nord del continente. Questo trend che sta facendo riscoprire l’Italia a tanta Europa, vede come punto di partenza principale Milano. A ciò si abbina il fatto che i valori immobiliari di Milano sono molto più competitivi delle altre città europee di pari livello. È iniziato altresì un processo di trasformazione per parti della città, capillare, intervento singolo per intervento singolo, che ha trasformato Milano nel cantiere a cielo aperto più grande d’Europa. Operazioni diffuse sul territorio hanno fatto sì che la città anno dopo anno cambiasse faccia. E il mio studio ne è espressione.

Tanti criticano questo fermento costruttivo e immobiliare perché temono che possa mettere in pericolo quella “milanesità” tanto identitaria.

È una critica molto provinciale alla città. Il mondo è cambiato. Viviamo in una società globalizzata e sistemica – con tutti i pro e i contro – di conseguenza è normale che le nostre specificità possano cambiare. Semmai è importante capire il limite entro cui muoverci per tutelare la nostra peculiarità milanese ed entrare nella modernità senza diventare parte di un tutto indistinto.

Cosa intende preservare della cosiddetta “vecchia Milano”?

Per tutti quegli imprenditori cosiddetti “illuminati” certi elementi caratteristici della “vecchia Milano” non sono soltanto da tutelare ma anche da vendere. Bisogna lavorare per mantenere l’identità forte che abbiamo affiancandole caratteristiche di sostenibilità, non soltanto energetica ma anche come capacità di stare all’interno di un contesto complesso e stratificato quale può essere quello internazionale. Il tema è cosa valga la pena di considerare realmente come espressione della vecchia Milano. Non vorrei mai diventassimo un museo di noi stessi, non siamo mica Firenze o Venezia, dove ogni angolo è un’opera d’arte. L’impegno è in primis della pubblica amministrazione e degli organi di controllo e in parallelo degli architetti che prendono le decisioni formali.

Qual è stata una sua scelta progettuale caratterizzata da forte rispetto e spiccata sensibilità per le aree limitrofe?

L’intervento residenziale di grande successo fatto in viale Boezio 20, dove abbiamo demolito un vecchio hotel dell’ATA e abbiamo costruito un nuovo condominio che si confronta con CityLife e al contempo con la vecchia cortina edilizia. L’immobile che abbiamo realizzato si inserisce in maniera coerente nel contesto da un punto di vista dimensionale, formale e linguistico. Il palazzo ha il massimo dei requisiti da un punto di vista energetico, prestazionale e abitativo. È una testimonianza di come, pur demolendo e ricostruendo, si possa dar vita a edifici che siano espressione del quartiere in cui si inseriscono.

I milanesi come reagiscono a tutti questi grandi cambiamenti?

Milano è una città flagellata nelle sue consuetudini da tutte le difficoltà che i cantieri creano. I milanesi però sono estremamente pazienti perché in cuor loro sono fautori, più di ogni altro cittadino italiano, della trasformazione e sono più disposti a sostenerne gli effetti.

Con il senno di poi quali aree della città la interessano particolarmente?

Abbiamo molti progetti in fieri, che spalancheranno la strada a una nuova frontiera della milanesità: il recupero vero delle periferie che avverrà solo attraverso la trasformazione fisica delle stesse. Milano storicamente nasce come città medievale, con la piazza del Duomo a fare da nucleo per tutte le diramazioni, ma sta diventando sempre più policentrica in virtù dello spostamento degli interessi in zone che non sono centrali. Le aree industriali abbandonate diventeranno presto nuovi quartieri e la prossima frontiera dell’urbanizzazione sarà la caratterizzazione della periferia con conseguente trasformazione del mercato immobiliare. Indicativo è l’intervento del gruppo Prada in un’area che un tempo era solo preda della nebbia.

Come descrive il suo legame personale, prima ancora che professionale con Milano?

È un legame d’amore. Sono nato a Milano, mi sono laureato al Politecnico con il professor Viganò, anche lui milanese, e ho mantenuto un forte il legame con la città. Ho sempre cercato di capirne i meccanismi anche quando, con l’avvento del nuovo millennio, il mondo immobiliare è diventato fluido ed è nato il real estate. Una dinamicità che da milanese ho sempre avuto addosso e ho cercato di mantenere.

L’intervista a Paolo Asti è stata pubblicata su Club Milano 65. Clicca qui per sfogliare il magazine.

In apertura, Paolo Asti ritratto da Andrea Cherchi

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