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Luigi Luini

Il “re dei panzerotti” Luigi Luini si racconta

Per la prima volta Luigi Luini, che va per i 92 anni, racconta di sé e della sua celebre bottega nelle pagine del libro Volevo solo fare il panettiere. La storia del “re dei panzerotti” s’intreccia con quella di Milano e del Paese unendo tradizione e coraggiosa innovazione.

DI MARCO TORCASIO

18 October 2022

È nato nel lodigiano e poi l’arrivo a Milano all’età di 15 anni. Che citta? ha trovato?

Una città ferita dalla guerra, ma anche determinata a risollevarsi. Venendo dalla campagna mi ha colpito il carattere dei milanesi che, senza piangersi addosso e con grande dignità, stavano ricostruendo con le loro forze la città. Ero galvanizzato dal quel fervore, ma allo stesso tempo ho capito che chi avesse giocato bene le carte avrebbe avuto un’opportunità.

Della Puglia portava con sé solo il DNA del nonno nato a Bisceglie?

Anche “l’arte” del papà e la cultura del cibo della mamma. E la determinazione di tutti noi.

L’arte bianca era una tradizione di famiglia?

Dal ramo paterno: il fornaio era papà e io fin da piccolo ho vissuto nello strano mondo notturno dei fornai. La mamma invece era più indirizzata alla ristorazione, si direbbe ora. Questo connubio ha avuto il suo compimento nella nostra attività: un po’ panificio, un po’ street food.

Com’è nata la storica bottega di via Santa Radegonda, letteralmente “a centonovanta passi dalla Madunina”?

Il primo forno è stato in piazzale Bacone, poi in via Padova, zone più popolari in cui la richiesta di pane per le famiglie era alta. In Santa Radegonda ci siamo arrivati solo nel 1949 e il target si è spostato: non solo famiglie, ma anche impiegati del centro e poi l’idea di rifornire i ristoranti, che a poco a poco cominciavano a moltiplicarsi nel centro della città.

Fornivate il pane anche ad alcuni hotel importanti del centro?

Sì, dopo i ristoranti siamo passati agli hotel e lì la logistica è diventata più complicata perché ai pranzi e alle cene si aggiungevano anche le colazioni del mattino: turni di consegna massacranti, fatti tutti con la mia vespa. Quado non ero in giro per le consegne, ero in laboratorio ad aiutare mio padre: la mattina con il pane, il pomeriggio (e la sera) con la pasticceria. Ma eravamo affidabili e i più rinomati alberghi di Milano sapevano di poter contare su di noi.

Poi l’intuizione di vendere qualcosa che in città ancora non c’era...

La città stava cambiando e con lei le abitudini dei suoi abitanti. La pausa pranzo diventava più corta e in centro aumentavano i pendolari: serviva un pasto comodo, veloce, gustoso e a prezzi contenuti. Il panzerotto non fu il primo dei prodotti che proponemmo, ma sicuramente ha raccolto in sé tutte queste esigenze e anche quelle sopraggiunte con il trascorrere degli anni.

Che sapore avevano i primi panzerotti?

Forse non ci crederà ma molti dei nostri clienti, un po’ avanti con l’età, entrando in negozio, mi dicono ancora: “Ho mangiato il primo panzerotto che ero un bambino, ma il sapore adesso è come quello di allora”. Certo molte cose sono cambiate, ma gli ingredienti, la ricetta e la lavorazione sono sempre di nonna Giuseppina (mia mamma).

L’offerta della sua bottega ha cambiato le abitudini di gusto e consumo dei milanesi?

Non sono così presuntuoso da pensare di aver cambiato le abitudini dei milanesi. Sono più propenso a credere, come le dicevo prima, di aver intercettato delle esigenze che stavano nascendo: io ero lì in quel momento con qualcosa che faceva proprio al caso loro.

In molti ritengono che lei sia l’inventore dello street food a Milano...

Questa è una medaglia che spesso mi attaccano al petto. Qualche settimana fa ho visto un interessante documentario sugli scavi di Pompei: “cosa c’entra” lei mi dirà. Beh hanno ritrovato una bottega con un bancone e dei vasi di terracotta incassati che servivano per conservare e vendere “cibo di strada”. Non ho inventato niente, ma solo riscoperto qualcosa che in quel momento incontrava una specifica esigenza.

Nell 1988 l’Ambrogino d’Oro per mano del sindaco Paolo Pillitteri. Ha capito così di avercela fatta?

L’Ambrogino è stato il primo riconoscimento ufficiale, poi ne sono venuti anche altri. Non mi ha fatto capire che “ce l’avevo fatta” ma che ero entrato in sintonia con Milano, la mia città di adozione.

Ha scritto che quando il grano scarseggiava ci si ingegnava. Oggi le sembra di rivedere dinamiche già vissute in passato?

Direi che oggi ci si ingegna diversamente, ma non mi sarei più aspettato di tornare ai tempi in cui mancava la materia prima per fare il pane, che sia il grano, che sia l’energia che ci permette di accendere i nostri forni. Ecco, credevo che mai sarebbe potuto ricapitare.

Che cosa amava di Milano da ragazzo e cosa ama oggi?

A Milano arrivammo nel pomeriggio, un pomeriggio di inverno che preannunciava già il calare della sera. Mi sono stupito di quanto luminosa fosse la città. Di Milano mi è rimasta quella luce impressa quasi in filigrana, quella vitalità, quella laboriosità e quel non fermarsi mai che ancora adesso mi affascina e mi dà la voglia di andare avanti.

Luigi Luini libro

Luigi Luini 
Volevo solo fare il panettiere
Egea Editore 

L’intervista a Luigi Luini è stata pubblicata su Club Milano 64. Clicca qui per sfogliare il magazine.

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