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PERSONE

Gaia Trussardi

L’ibridazione di culture genera identità

Dopo anni alla direzione creativa della maison di moda del Levriero, Gaia Trussardi oggi è molto attiva sul fronte dell’integrazione sociale. E nel suo nuovo progetto milanese il cibo si fa vettore elettivo di multiculturalità.

DI MARCO TORCASIO

11 January 2023

È ideatrice di un nuovo format di street food africano dalla forte anima inclusiva che ha come obiettivo principale l’inserimento sociale ed economico di richiedenti asilo. Ce lo racconta?

Tra le strade di Porta Genova, in via Savona 13, ha preso vita poco prima dell’estate Marcel Boum, un luogo in cui la cultura africana contemporanea diventa protagonista attraverso piatti semplici, golosi, sani e divertenti che coinvolgono la società attraverso un processo di integrazione e multiculturalità. È un mio progetto a tutti gli effetti che ho sviluppato in società con Cesare Battisti, chef e patron di Ratanà. Io e Cesare ci conosciamo da diversi anni, sono stata dapprima una cliente del suo ristorante ma l’ho subito apprezzato sia come persona sia per il suo approccio alla ristorazione, nella gestione della filiera, della cucina e del rapporto con il cliente. Anche lui, come me, ha iniziato già in tempi non sospetti a prestare grande attenzione a temi importanti come la sostenibilità e il sociale. Così, una volta messa su carta la parte teorica del progetto, in lui ho trovato una spalla, entusiasta sia nella scrittura del menu sia nella gestione del locale.

Chi è Marcel Boum?

È un nome fittizio, un appellativo che in alcuni paesi dell’Africa equivale ai nostri Mario Rossi o Da Mimmo. Il nome dell’oste posto nell’insegna dà subito un’idea d’accoglienza. È anche un nome che a Sud del Mediterraneo richiama un senso di familiarità. Quando il progetto è nato sui banchi del Centro di accoglienza straordinaria della Croce Rossa di Bresso un giovane camerunese di nome Marcel mi ha raccontato che a lui e a tanti come lui mancava il cibo di casa, da qui l’idea di intitolargli il ristorante e rappresentare così tutti quei viaggiatori che raggiungono l’Italia con il proprio bagaglio di culture e abilità per cercare integrazione.

La scintilla è partita dunque nel Centro di accoglienza?

Volevo creare la possibilità di fare impresa insieme ai richiedenti asilo. Studiare con i volontari una forma d’impresa che potesse essere occasione di formazione e di business, innescando un circolo virtuoso replicabile in scala.

Come si inserisce nel tessuto milanese un progetto di questo tipo?

Questo nuovo format di street food africano dalla forte anima inclusiva ha come obiettivo principale l’inserimento sociale ed economico dei richiedenti asilo. Ma ancora più importante è il desiderio di appassionare e coinvolgere i milanesi nella conoscenza di una nuova cultura, presente in maniera importante nel nostro Paese ma ancora lontana. Marcel Boum è il luogo giusto per chi ama sentirsi parte integrante di una realtà multiculturale, in cui confrontarsi liberamente e costruttivamente con l’identità altrui e arricchirsi grazie alla convivialità della tavola.

Come si è avvicinata a tematiche di questo genere?

Sono argomenti di cui mi interesso sin dalla giovane età. Sono laureata in Antropologia e Sociologia alla Richmond University di Londra e ho frequentato un campus estremamente multiculturale, convivendo con ragazze di diverse nazionalità. In cuor mio ho sempre fatto fatica a comprendere le barriere culturali, i costrutti e gli stereotipi che nascono dalla paura per ciò che è diverso. Così, terminata l’esperienza più che decennale nella moda, ho definitivamente deciso di dedicarmi all’inclusione in maniera creativa, mettendo a frutto le competenze imprenditoriali maturate negli anni e circoscritte ai miei valori.

La moda è un capitolo della sua vita concluso?

Mi sto dedicando ad altro ma mai dire mai. Non amo fermarmi, incasellarmi, rimanere troppo tempo sulla stessa cosa. La moda per me è sempre stato un mondo meraviglioso perché ci sono nata. Ma il mio punto di vista è molto diverso da quello di un semplice appassionato. Io la moda l’ho vissuta, compresa, masticata, digerita. Ho visto come si è evoluta in termini di fruizione e produzione (sia fisica sia creativa) e oggi non mi ci ritrovo più. Ritengo che la moda sia espressione della società e in quanto tale fortemente identitaria per gli individui singoli o di un gruppo. Oggi è diventata un grande supermercato di brand in cui tutti gli stili convivono, sempre più status symbol sempre meno concetto. Non è universalmente così, certo, molti cercano ancora di fare la differenza esulandosi dal grande sistema moda: io li osservo con la speranza che questo processo diventi la regola e non una nicchia di mercato.

Quali sono le bellezze milanesi a cui tiene di più?

Ho sempre fatto fatica a integrarmi – fisicamente intendo – nella città. Sono un’amante della natura, Milano invece è tutt’oggi una città che affatica molto, con il suo cemento. La sua bellezza sta nella diversità. Si tende a pensare che il milanese sia snob, ma non è così perché altrimenti non sarebbe questa la città italiana, ed europea, più viva sul piano degli scambi orientati alla multiculturalità e alla diversità.

L’intervista a Gaia Trussardi è stata pubblicata su Club Milano 65. Clicca qui per sfogliare il magazine.

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