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PERSONE

Diego Sileo

La responsabilità dell’arte

Milanese, con un lungo percorso di formazione nell’arte, Diego Sileo dal 2012 è curatore del PAC. Ha concepito mostre di celebri artisti e ora ci racconta Race Traitor, la prima retrospettiva europea dopo oltre vent’anni dedicata ad Adrian Piper

DI MARCO TORCASIO

24 April 2024

Adrian Piper solleva domande spesso scomode sulla politica e l’identità razziale: il suo lavoro è provocatorio e chiede al pubblico di confrontarsi con verità su se stessi e sulla società in cui vivono. Com’è nata l’idea di portare al PAC la sua opera?

Race Traitor nasce come mio progetto nel 2019, poi si sviluppa per ben cinque anni arrivando a sostanziarsi in una grande retrospettiva. Protagonista è Adrian Piper, una delle artiste contemporanee viventi più influenti che possano esserci a livello internazionale, nonché un punto di riferimento per molti artisti con cui abbiamo lavorato in passato. Piper è la prima artista ad aver introdotto nella sua ricerca temi contemporanei cari al PAC – sociali, politici, di genere – che l’istituzione racconta da ormai dieci anni attraverso una programmazione oculata. Affermatasi come artista concettuale sulla scena artistica newyorkese degli ultimi anni Sessanta, ha mescolato le attitudini dell’arte concettuale americana e del minimalismo con le tesi kantiane sulla concezione di spazio e di tempo espresse nella Critica della ragion pura, suo testo di riferimento, influenzato generazioni di artisti. Ho ritenuto dunque che fosse giunto il momento di dedicarle questo progetto.

Per realizzarlo vi siete anche incontrati?

Subito dopo la vincita del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 2015 Adrian Piper si è ritirata dalla vita pubblica, non rilascia più interviste, non partecipa più a talk, lecture, conferenze stampa, inaugurazioni, eventi. Ma per quel che riguarda gli allestimenti e la progettazione delle sue mostre è ovviamente disponibile. L’ho raggiunta a Berlino, dove vive, perché lì hanno sede il suo archivio e la Fondazione a lei intitolata, ma anche per poter dare sostanza a un confronto completo e complesso. Sono stati necessari più incontri a dire il vero poiché quando Piper seleziona un progetto vi si dedica insieme al curatore per un arco di tempo non inferiore ai cinque anni. Basti pensare che l’ultima grande retrospettiva su di lei in Europa risale al 2002, al MACBA di Barcellona. Il suo metodo di lavoro è rigoroso, nulla è lasciato al caso, dalla comunicazione all’allestimento, dal trasporto delle opere agli aspetti contrattuali.

La progettazione di questa mostra ha fatto sì che il PAC dialogasse con importanti istituzioni d’arte internazionali?

Race Traitor ripercorre oltre sessant’anni di carriera di Adrian Piper, con importanti prestiti internazionali provenienti dai più prestigiosi musei del mondo, tra i quali il MoMA e il Guggenheim di New York, il MoMA di San Francisco, l’MCA di Chicago, il MOCA di Los Angeles e la Tate Modern di Londra.

Come descrive il percorso di visita?

Ho deciso di sviluppare la mostra, raccontando 60 anni di produzione, focalizzando bene i temi della sua ricerca per farne emergere l’attualità. Ho mescolato le opere, mettendo a confronto quelle degli anni Settanta con quelle del 2018. Adrian ha definito il progetto coraggioso proprio perché mette in dialogo opere del passato e opere nuove (circa 120 opere esposte) per dimostrare come la sua ricerca non sia superata ma assai contemporanea.

Seguiranno degli incontri per andare più a fondo nella complessità di questo progetto?

In occasione di Milano Art Week, ad esempio, abbiamo incontrato Vid Simoniti, docente di Filosofia presso l’Università di Liverpool, che ha approfondito un tema importante nel lavoro di Piper: l’atto di essere soli con i propri pensieri. Durante il talk abbiamo anche presentato la versione inglese e italiana dell’autobiografia di Adrian Piper Escape to Berlin: A Travel Memoir. Sul nostro sito è disponibile il calendario delle prossime occasioni di approfondimento.

Il palinsesto del PAC ne definisce anche la cifra identitaria?

Il ruolo di un’istituzione pubblica come la nostra è quello di far conoscere attraverso l’arte contemporanea le tante realtà che ci circondano, avvicinando il pubblico a tematiche strettamente attuali. L’arte contemporanea ha la grande possibilità di parlare senza filtri, censure, a volte in maniera anche controversa. Attraverso la nostra attività contribuiamo quindi a formare una coscienza collettiva. È questa è la nostra cifra identitaria.

Di che cosa ha più bisogno oggi Milano da un punto di vista artistico-culturale?

A Milano credo ci sia una vastità di offerte di altissimo livello. Non le si può rimproverare molto. E non ha nulla da invidiare alle grandi capitali europee con le quali siamo soliti fare confronti. Il PAC si posiziona in questo scenario offendo incessanti stimoli, sollecitando atteggiamenti critici e curiosità ulteriori. È questo ciò che il pubblico, e la città, si aspetta da noi.

L’intervista a Diego Sileo è stata pubblicata su Club Milano 71. Clicca qui per sfogliare il magazine.

 
In apertura, ritratto di Diego Sileo. Foto di Mario Zanaria. Courtesy Perimetro

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