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PERSONE

Dario Spallone

Questione di dettagli

Dalla nascita a Milano alla consacrazione in Medio Oriente, fino all’espansione globale. Dario Spallone, founder e CEO del marchio di orologi D1 Milano, nato nel 2013, ci porta dietro le quinte di una storia di successo dal percorso originale e contemporaneo

DI GIULIANO DEIDDA

11 December 2022

Come definirebbe lo stile degli orologi D1 Milano?

Ci provo con tre concetti: attenti al dettaglio, fatti bene e con carattere. Alla fine, questo è ciò che ci differenzia, così come quello che contraddistingue le aziende italiane nel mondo, la costante dedizione verso il bello e il benfatto con carattere. Siamo conosciuti per i nostri ingredienti che, per quanto semplici, riescono a farsi notare.

Approfondiamo l’argomento, a partire dal richiamo dichiarato agli anni Settanta…

Le forme anni Settanta sono quasi un richiamo nostalgico. Noi cerchiamo di metterci del nostro, lavorando sulla costante innovazione dei dettagli, dei materiali e della ricerca cromatica. Essere moderni per noi significa apprezzare il passato mettendoci qualcosa di giovane, con carattere, a cominciare da quella finitura opaca, quel colore inaspettato o quella collaborazione che non ti aspettavi.

Pensa che il successo del brand sia dovuto più alle scelte estetiche, a una strategia di business contemporanea o al fato?

Tutte e tre è la risposta più semplice. La fortuna è necessaria, soprattutto quando non si ha ancora una posizione di mercato, ma non basta. Quando un’attività ha meno dell’1% di probabilità di successo, se tenti una volta sola hai ben poche probabilità di ottenerlo, se provi migliaia di volte aumenti considerevolmente la percentuale. Non costa nulla, se non tempo, provare a farcela in mille modi. Da un punto di vista razionale, aver focalizzato la nostra strategia sull’attenzione all’estetica e ai dettagli, in un mercato prevalentemente conosciuto per la poca ricercatezza, ci ha dato un vantaggio competitivo. La strategia si fa sul campo più di quello che si possa pensare. Non c’è una ricetta, se non quella di provare a migliorare e imparare dai nostri errori ogni giorno.

Il riscontro immediato nel Middle East è un unicum per un marchio che propone orologi dal prezzo non elevato. Come se lo spiega?

Mi sono trasferito in Medio Oriente qualche anno dopo la fondazione, avevo pochi soldi e dovevo decidere se focalizzare le mie energie in Italia o in quel mercato, reso interessante da un solo cliente che con poco sforzo faceva ordini molto interessanti. A Dubai, grazie a una buona dose di fortuna – personaggi vicini alle famiglie reali, molto influenti, hanno incominciato a indossare i nostri orologi e a una buona dose di testardaggine – siamo riusciti a entrare nel mercato. Oggi contiamo dodici presenze monobrand tra isole e negozi nei centri commerciali, ma abbiamo ancora molto da fare.

Quali sono quindi i mercati più rilevanti e quali quelli su cui puntate?

Distribuiamo in più di trenta Paesi, ma molti sono partiti recentemente. La maggior parte del fatturato arriva però dal Sud Est Asiatico, ovvero Thailandia e Cambogia, Medio Oriente, Francia e Italia. Vendiamo molto negli Stati Uniti, ma soltanto attraverso il nostro e-commerce, senza una distribuzione diretta, anche se i numeri sono consistenti.

Come cambia il vostro pubblico da Paese a Paese?

Molto, perché tra un cambogiano, un italiano e un kuwaitiano, per esempio, c’è poco in comune dal punto di vista culturale. Tuttavia, la motivazione dietro al perché i clienti scelgano D1 è molto simile ovunque. Si tratta di persone attente al loro stile, che ricercano qualità, ricercatezza e design. Chi acquista D1 sposa il nostro modo di vedere le cose.

Di recente avete riportato l’headquarter in Italia e implementato notevolmente il management con l’arrivo di figure eccellenti. Cosa bolle in pentola?

Molte cose. La scelta dell’Italia è stata fatta per mettere sempre più il focus sul nostro Paese e su Milano e, attraverso il nostro brand, esportare questo nel mondo. Quando si raggiunge uno scalino di dimensioni importanti poi bisogna lavorare il triplo per superarlo. Noi siamo in quella fase.

Parliamo delle co-lab con altri brand. Quali sono gli equilibri da mantenere in questo tipo di operazioni?

Per me le co-lab hanno poche regole. Servono a imparare e a farsi “contaminare”. Tutte le collaborazioni che abbiamo fatto sono state con brand che hanno contribuito a scrivere la nostra storia, che ci hanno ispirato, che abbiamo ammirato o in cui ci rivedevamo. Seguendo questa direzione, in automatico non serve avere tante regole perché il prodotto rimane molto coerente. Per il 2023 abbiamo intenzione di lavorare sempre di più in questa direzione.

Delta 001 Arctic, D1 Milano

Delta 001 Arctic, D1 Milano

 

L’intervista a Dario Spallone è stata pubblicata su Club Milano 65. Clicca qui per sfogliare il magazine.

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