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PERSONE

Antonella Bozzini

La mia città in prospettiva

Fotografa di grande esperienza, Antonella Bozzini ci parla di dove l’hanno portata fin qui le due anime della sua multiforme carriera nell’immagine. Alternando ritratti, foto di architettura e di food, still life e progetti solo suoi.

DI PAOLO CRESPI

11 January 2023

Che tipo di fotografa sei?

Ho una doppia personalità. Nella quotidianità sono una fotografa commerciale e nel mio tempo libero faccio ricerca. Le immagini che costruisco in questa sfera più personale richiedono tempi molto distesi, sia per l’individuazione dei temi che per la realizzazione vera e propria. Sono scatti che documentano il cambiamento del paesaggio urbano antropizzato. I progetti di cui mi sono occupata fin qui fotografano l’evoluzione delle città in funzione degli obiettivi assegnati per il 2030 dalle direttive europee sulla sostenibilità. Il primo, già concluso, era su Berlino, mentre il secondo, tuttora in corso, è dedicato alla nostra città. Con una prima pubblicazione fatta nel 2020 in occasione della mostra Milano in prospettiva. E un appuntamento intermedio al 2025, a metà del mio percorso.

Prima foto scattata nella vita?

Non saprei, ma sicuramente era una tipica foto delle vacanze con la mia famiglia, quand’ero un’adolescente. Un’immagine che invece ricordo come il mio primo scatto consapevole è quella fatta durante una manifestazione di protesta particolarmente agguerrita in un anniversario della strage di Piazza Fontana. Erano gli anni ’90 e i docenti dell’Istituto europeo di design ci spingevano ad andare in giro e osare il più possibile, cercando di superare i nostri limiti.

Deduco che hai iniziato con fotocamere tradizionali…

Eh sì, essendo nata nel ’67, sono un tipo “vintage” di essere umano.

Avendo sperimentato sia la fotografia analogica sia quella digitale, cosa apprezzi di più di entrambi i mondi?

Del fotografare oggi in pellicola, a parità di prestazioni ormai raggiunte se non sopravanzate dai sistemi digitali, apprezzo soprattutto la lentezza e il ritmo del processo. Cosa che ora sto recuperando, perché lavorando con dorsi digitali e macchine di grande formato è un po’ come ritornare ai banchi ottici di una volta. C’è più tempo per riflettere e “maturare” il risultato che si sta cercando. Ma naturalmente mi capita anche di realizzare ottime foto estemporanee con il mio iPhone.

Chi è stato il tuo mentore?

Il babbo aveva una macchina fotografica e io gli stavo dietro per carpirgli i rudimenti della tecnica. A un certo punto lui seguì un corso serale di camera oscura: è stato affiancandolo durante lo sviluppo delle immagini che è nata probabilmente la mia fascinazione per la magia di quest’arte. Poi, effettuati tutti gli studi del caso, il mio primo “sponsor” è stato Maurizio Reguzzini, storico dell’arte, che ai tempi aveva fondato una sua rivista a Milano e chiamò me e altri ragazzi dello IED a fare uno stage. Lì ho appreso i fondamentali dello still life e della fotografia ragionata e meditata, passando quindi dal reportage (oggi si direbbe street photography) alle immagini create in studio ma cariche di una loro emozionalità dovuta all’uso sapiente delle luci.

Parliamo della copertina di questo numero di Club Milano. Perché hai deciso di fotografare l’arco di Porta Romana di profilo? È una scelta solo compositiva?

Il progetto Milano in prospettiva 2020-2030 verte sul cambiamento prendendo le mosse dalla città storica e rivolgendo lo sguardo alla città in divenire. Ho scelto di partire dalle porte di Milano, perché sono collocate tutte su assi che conducono all’esterno, dove il tessuto urbano può ancora crescere. Quell’inquadratura così essenziale è un perfetto connubio tra la parte storica e quella in divenire, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso.

E lo scatto con il grattacielo curvo di Libeskind che compare come una presenza aliena in fondo a una via semideserta?

Si ricollega idealmente al progetto su Berlino, dove le opere dell’architetto americano di origine polacca hanno naturalmente un loro peso. Attilio Terragni, il collega italiano che ha collaborato con lui alla ristrutturazione del museo ebraico della capitale tedesca, è anche il progettista della galleria dove è stato presentato, proprio da lui, quel mio primo lavoro di ricerca. Ed ecco svelato il link con questa immagine. In generale cerco di scattare all’alba, prima che il mondo esca di casa.

Guardando il sito del tuo studio, pare non ci sia quasi settore che tu non abbia praticato. Qual è il filone che ti interessa di più anche a livello creativo?

Attualmente mi appassiona molto l’ambito degli chef: quello che mettono nel piatto è a volte il frutto di anni di studi ed esperimenti. Una meraviglia continua.

Cosa ti piace fare quando non lavori?

Visitare nuovi paesi è ancora uno stimolo molto forte. Noi milanesi abbiamo il difetto di correre sempre per raggiungere le mete prima degli altri. Ma io sono una camperista e amo il viaggio lento: appena posso parto e vado ovunque sia possibile recarsi via terra.

L’intervista ad Antonella Bozzini è stata pubblicata su Club Milano 65. Clicca qui per sfogliare il magazine.

In apertura, Antonella Bozzini ritratta da Marco Lamberto.

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