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TEATRO

Moni Ovadia

Ovadia e Cazzullo sul palco del Carcano

Lunedì 20 gennaio va in scena al Carcano di Milano lo spettacolo Il romanzo della Bibbia, con Moni Ovadia e Aldo Cazzulo. Un messaggio universalistico e inclusivo, contro tutti i fondamentalismi e i fanatismi che vorrebbero Dio dallo loro parte

DI PAOLO CRESPI

16 January 2025

Dopo Il duce delinquente, potente spettacolo dedicato alle malefatte di Mussolini e C. negli anni del fascismo di regime, per Moni Ovadia il sodalizio con Aldo Cazzullo (dal cui successo editoriale anche quella narrazione era tratta) si ripropone con Il romanzo della Bibbia. Insieme nuovamente sul palcoscenico: Cazzullo con il ruolo che gli compete di narratore, Ovadia con una presenza più articolata fatta di letture, interventi e brani cantati, accompagnato ancora dal pianoforte e dal violoncello di Giovanna Famulari.

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Cos’hanno in comune il giornalista-scrittore e l’uomo di teatro e cosa rappresenta questa vostra nuova avventura itinerante? 

Ancorché io e Aldo Cazzullo abbiamo approcci diversi su molte questioni – lui è grosso modo un riformista, mentre io sono un ultra radicale – nel nostro primo lavoro insieme, che ancora ci chiedono a distanza di oltre due anni dal debutto, ci accomuna un elemento molto forte: l’antifascismo. Al di là delle nostre differenze, tra noi c’è amicizia e molto rispetto. E la presenza in quello spettacolo di un giornalista così importante, vicedirettore del primo quotidiano italiano, ha un’incisività maggiore della mia, poiché lui parla anche a una platea di italiani magari meno sensibili al tema dell’antifascismo, ma che leggono assiduamente i suoi libri e i suoi articoli e a cui è importante che giunga chiaro e netto questo messaggio.

Nello spettacolo che lunedì portate in scena al Teatro Carcano l’ispirazione è molto diversa…

Aldo ha scelto di affrontare un’opera monumentale come la Bibbia nella sua dimensione narrativa – non a caso ne parla come de “Il grande romanzo” – e io com’è noto ho una radice ebraica, con una mia visione che deriva anche dai miei studi sulla Torah. Ancora una volta è significativo che l’autore si rivolga a gente che dice di averla letta, quando in realtà quasi nessuno conosce davvero la Bibbia, se non per sentito dire. Il libro, tra i bestseller del 2024, e lo spettacolo svolgono una funzione primaria: restituire il racconto della Bibbia ai suoi valori fondamentali, sottraendola alle grinfie dei fanatici, dei violenti, di chi vorrebbe usarla come una clava da brandire contro i “nemici”.

In libreria il titolo completo è Il Dio dei nostri padri. Il grande romanzo della Bibbia (HarperCollins). Sembrerebbe alludere a una linea solo patriarcale. E il ruolo delle donne?

È ovviamente di grande spessore. Il problema è che nella tradizione occidentale giudaico-cristiana il Dio è per definizione “padre”, anche se papa Giovanni Paolo II fece quell’uscita “Dio è madre”, che per la mia cultura era abbastanza scontata: ci sono preghiere in cui gli ebrei si rivolgono al divino col tu femminile, la shekhinah, la parte generativa. E la parola misericordia, che nelle lingue semite, ebraico e arabo, è quasi identica, deriva dal nome con cui è designato l’utero, l’organo riproduttivo femminile. Tra i personaggi di spicco c’è ad esempio Giaele, eroina dell’Antico Testamento, la donna che uccide il generale oppressore Sisara, ritratta in un celebre quadro da Artemisia Gentileschi, in cui la pittrice mise all’uomo che sta per soccombere il volto del proprio violentatore.

Che interventi sono previsti per la parte musicale?

La tessitura è affidata a Giovanna Famulari, un prodigio di musicista. Io canto e abbiamo in scaletta musiche liturgiche, in ebraico e in aramaico, e musiche paraliturgiche che fanno parte del mio repertorio, tra cui quella che Branduardi, rubandola alla tradizione della Pasqua ebraica, chiamò Alla fiera dell’Est. C’è un inno dedicato all’Olocausto, ispirato a un Salmo di Davide (Gam Gam, da cui è stata tratta anche una canzone pop che negli anni Novanta imperversava nelle discoteche), così come alcuni canti della tradizione cristiana afroamericana, in particolare gli spiritual che fanno riferimento alla Bibbia, Go Down Moses e Joshua Fit the Battle of Jericho. Interpreto poi Amazing Grace e un brano d’opera, Dal tuo stellato soglio dal “Mosè” di Rossini e sull’Hallelujah di Leonard Cohen invito il pubblico a cantare con me.

La parte visiva ha un ruolo importante anche dal punto di vista simbolico. Come l’avete risolta?

In un modo molto suggestivo grazie alla preziosa ricerca di Elisa Savi, che ha utilizzato l’intelligenza artificiale per realizzare una sorta di panorama cinematografico, ricreando i personaggi e le atmosfere dell’iconografia classica ma seguendo anche le tracce della Bibbia ebraica. Per esempio Adamo ed Eva sono scuri come i maori e come in effetti dovevano essere nel loro tempo, invece delle figure angelicate che siamo abituati a vedere nelle raffigurazioni pittoriche. E alcune scene sono frutto del lavoro di Gabriella Compagnone, strepitosa artista che disegna con la sabbia.

Che tipo di impatto sociale e politico può avere oggi uno spettacolo che prende le mosse dal libro sacro per eccellenza?

Il monoteismo abramitico è uno dei fondamentali dell’intera civiltà occidentale, e non solo. Il suo valore non cambia: è una narrazione che appartiene a tutti gli esseri umani che la vogliono incontrare. La Bibbia dunque non è un libro di legalità internazionale, un “registro del catasto” che distribuisce terre a destra e a manca. Pur con le sue scabrosità e le sue contraddizioni, è un testo sacro universalista, che mira essenzialmente alla fratellanza. Quando Abramo non sacrifica il figlio Isacco, riceve una benedizione non omologante che comprende tutte le famiglie di questo mondo, non gli ebrei o i cristiani. Più attuale di così…

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Il romanzo della Bibbia

Date della tournée

16 gennaio: Bologna, Teatro Duse

17 gennaio: Verbania, Il maggiore

18 gennaio: Busto Arsizio (VA), Teatro Sociale  

20 gennaio: Milano, Teatro Carcano

21, 22, 23 gennaio: Genova, Teatro Modena

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