Classe 1981, è stato consacrato al successo dal libro Atti osceni in luogo privato. A dieci anni dall’uscita del romanzo che l’ha reso celebre, ci porta nel suo mondo, tra sessioni di scrittura seduto nei caffè di Milano e lezioni universitarie
DI MARZIA NICOLINI
09 July 2025
Il lavoro che mi ha dato la libertà. In due sensi principali. In primis come narratore: ho sparigliato le mie carte, ho rotto il mazzo, ero uno scrittore piuttosto controllato, con pochi temi ricorrenti. Questo romanzo mi ha dimostrato di poter esprimere un’audacia che credevo di non avere. La seconda forma di libertà è stata di tipo editoriale. Avendo riscosso molto successo, ho potuto affrancarmi da lavori che facevo da anni che mi costringevano ad alienarmi rispetto alla scrittura. Mi ha permesso di diventare uno scrittore tout-court.
Dopo dieci anni lo reputo ancora un romanzo fresco, giovane, e mi sembra che i lettori abbiano la mia stessa percezione. Forse aggiungerei ulteriore audacia nella seconda parte del libro: spingerei di più sulla lingua, sul lessico, sulla prosa, essendo più preciso in alcuni punti.
Sono diventato apparentemente più libero, ma al contempo anche più scientifico in quello che scrivo. Studio di più, mi piace anche la prosa che detiene quasi una matematica del rigore. Credo sia un dono della maturità. Ma cerco sempre di mantenermi sul desiderio e sulla sua infrazione: da una parte spero di aver migliorato la mia spinta verso il desiderio, dall’altra di averla resa più scientifica. E poi la mia prosa oggi risente meno del mondo esterno: rispecchia esattamente la struttura sentimentale del momento in cui scrivo.
Il giorno dell’ape, un romanzo di cui tutti parlano e che intendo iniziare a leggere al più presto. Poi ho L’intervista di Jung, che sto rileggendo, e sempre di Jung, La sincronicità. Poi accanto al letto ho un testo sulle abitudini nel Medioevo. Mi interessa molto approfondirle, perché in questo momento ci troviamo di fatto in un’epoca medievale, dall’economia alle guerre, passando per i presidenti delle nazioni che si insediano al potere in malo modo. Devo ammettere che sto perdendo la lettura dei romanzi in favore della saggistica, e questo mi preoccupa.
Me ne sono andato da Rimini da ben 25 anni, anche se torno ogni mese dai miei genitori e da mia sorella. Fondamentalmente è un ritorno alle origini, ma più passa il tempo, più sento grande l’intimità che ho con Rimini. Mi succede anche con i libri: più anni trascorrono, più sento di voler inserire Rimini nella mia scrittura, al contrario degli inizi, quando non figurava mai nei miei lavori. Sono le mie origini: scrivere di Rimini ha il potere di scaldare il mio lessico, di farmi scrivere in maniera più vera. Milano ha invece il potere di rendermi geometrico, a volte un po’ freddo. Devo stare attento quando decido di farla entrare nei miei libri perché tende a indurirmi. E nella scrittura la durezza va bene solo fino a un certo punto.
Da qualche tempo a questa parte cerco di far capire ai miei studenti che non si insegna a scrivere romanzi o letteratura, ma si può imparare a capire cosa si vuole essere sulla pagina e a comprendere la struttura sentimentale che ognuno di noi ha: come ricercarla, come trovare la prosa per esprimerla. Dagli studenti imparo tantissimo, a ogni singola lezione. Dalle loro opinioni comprendo ulteriormente l’atto di umiltà e di fatica che la scrittura comporta. E poi capisco che non si deve perdere lo stupore verso le cose che, dopo un po’, col mestiere, tende a diventare dormiente.
Dovete sapere che ho l’abitudine di scrivere al bar, nei caffè. Ho preso uno studio, ma lo uso pochissimo, perché il silenzio mi fa paura, i libri mi spaventano molto quando li scrivo. E al momento sono all’opera su due libri, uno lo scrivo al Bar Basso la mattina, poi prendo il motorino e raggiungo il Refill, in Porta Romana, per scrivere il secondo. A volte da Cucchi in Porta Genova, sempre per scrivere il secondo. Mentre percorro le distanze tra i bar, la mia testa cambia cervello. Questo fa capire quanto io sia ossessivo rispetto a Milano che mi protegge dal punto di vista narrativo. Pensando ai ristoranti, adoro Nebbia e Wakaba.
Reputo Milano una città super attiva dal punto di vista culturale. Quello che faccio è visitare più mostre possibile. Non ne perdo una di quelle in rassegna a Palazzo Reale, di cui amo anche il caffè, dove mi piace sostare a scrivere. Bellissimi i palinsesti del Museo del Novecento, Gallerie d’Italia, Mudec, Fondazione Prada: non perdo un’esposizione.
Attualmente non riesco a fare una fotografia del nostro panorama narrativo. Tuttavia è pur vero che si legge molto meno, si leggono titoli polarizzati, molti meno romanzi letterari, e questo è un guaio. I romanzi spaventano, e dietro questa paura ci vedo lo spettro dei social.
Gli direi di non pensare all’editoria, ma di concentrarsi solo sulla letteratura, sulla scrittura e sul divertirsi nel farlo. Gli suggirirei anche di tenere un lavoro altro, se possibile manuale, che lo guidi e gli dia una sponda mentre scrive.
Seguo e leggo con piacere tanti giovani. Ad esempio Bernardo Zannoni, Leonardo Sampietro, Nicola Cosentino.
La verità è che oggi mi sento libero. So di potermi muovere come voglio. Ma sarò sincero, uno scrittore nella sua carriera inseguirà sempre il successo, commerciale, letterario o della critica. Solo dopo, forse, potrà sentirsi davvero libero. A me è capitato dopo l’uscita di Atti osceni in luogo privato. Da quel momento ho iniziato a vivere la scrittura con maggiore libertà e auspico possa essere sempre così.
L’intervista a Marco Missiroli è stata pubblicata su Club Milano 75