Classe 1984, figlio d’arte, dopo aver studiato allo IED è volato a Londra dove ha vissuto un anno facendo gavetta. Al suo ritorno, ha iniziato a lavorare nello studio paterno a Milano, per poi crearsi un suo originale percorso creativo
DI MARZIA NICOLINI
18 April 2025
L’anno che ho vissuto a Londra, prima nello studio di Sebastian Bergne, quindi in quello di Ross Lovegrove, mi ha aiutato a costruirmi un prezioso bagaglio di conoscenza. Erano ambienti lavorativi molto strutturati, nei quali ho iniziato a comprendere i meccanismi del design.
Ho avuto la grande fortuna di poter fare un vero e proprio master accelerato nello studio di mio papà (il designer Alberto Meda, NdR). Essendo uno studio piccolo, abbiamo creato un modo di lavorare one to one che mi ha permesso sin da subito di confrontarmi con le aziende del comparto design, creare prototipi, confrontarmi con gli attori della filiera. Da cosa nasce cosa e, pian piano, mi sono creato una mia strada di autoproduzione e un mio percorso.
Il fatto che provenga dal mondo dell’ingegneria ha fatto sì che mi passasse un metodo molto tecnico e costruttivo. Io, poi, ho ampliato il raggio d’azione quando ho iniziato ad associare al product design il lavoro di art direction, che mi ha aperto moltissimi orizzonti.
È stato bello quando, dopo anni dal mio inizio carriera, delle nuove aziende si sono avvicinate a me e mio padre per chiederci di lavorare a quattro mani su dei progetti.
Le mie fonti di ispirazione sono i grandi nomi che hanno fatto design dal Dopoguerra a inizio anni Ottanta. Penso a Castiglioni, ai coniugi Eames, a Magistretti e a Prouvé. In quell’epoca c’era così tanto da inventare e da progettare. Sono professionisti che hanno dettato una sorta di pionierismo del product designer.
Da oltre dieci anni collaboro con diverse aziende importanti del settore, a partire da Molteni. Insieme al designer David Lopez Quincoces, sono art director per aziende quali Acerbis e Fast, quest’ultima specializzata in arredi per l’outdoor. Ho scoperto questa professione e me ne sono innamorato: ti dà la possibilità di interagire con tantissimi professionisti, dando vita a un lavoro di squadra altamente creativo e stimolante. Ciascuno impara dall’altro, in una contaminazione di sapere e idee. Spesso io e David ci troviamo al bar per fare i nostri brainstorming di lavoro. Funziona…
Milano è semplicemente il luogo ideale per fare design. E non solo per il lato più “esposto” e glamour della Design Week, evento unico nel panorama internazionale, ma perché a meno di trenta chilometri c’è la Brianza, con la sua strutturatissima rete di artigiani, fornitori, aziende produttrici.
Tantissimi progetti. Tra i principali, con David Lopez Quincoces abbiamo presentato il lavoro Under the Volcano ad Alcova per il brand Ranieri. Abbiamo seguito come art director gli stand di Acerbis e Fast. Ho presentato un divano per Meritalia, insieme a mio padre ho presentato un braccio portamonitor perUniFor (parte del gruppo Molteni). All’Università Statale, sempre in collaborazione con David Lopez Quincoces, ho firmato un tunnel cromatico per HD Surface, specializzata in malte e materiali per le superfici. Ho creato un tavolo per Acerbis, dei tavolini per Ranieri. Quel che è certo è che durante la Design Week di quest’anno non ho potuto girare quasi per niente, ma l’atmosfera era decisamente vivace, a conferma della riuscita dell’evento.
Sia come marchi che come designer abbiamo una reference forte e solida. Dalla nostra, abbiamo la fortuna di venire da un Paese con un bagaglio culturale decisamente unico. Molte delle nostre aziende esistono da 80, 90, 100 anni, senza contare il tessuto consolidato di artigiani. Non è un caso che molti designer stranieri cerchino di lavorare con eccellenze italiane.
Il mio studio è in via Savona, è situato all’interno di un’ex parte industriale quindi sono nel bel mezzo del design e della creatività. Ho la fortuna di vivere in centro, ma la verità è che mi piace molto girare per la città. Amo molto il Da Orient in via Montello, l’ambiente vecchia Milano del ristorante Il Consolare, dietro Brera, e quello del ristorante La Libera, in via Palermo (sempre in Brera). Luoghi culturali immancabili: su tutti la Triennale, seguita dalla Fondazione Prada.
È bello e stimolante vedere aree, un tempo dimesse, riqualificate e valorizzate. Quello che non mi piace, invece, è quando la città subisce una spinta estrema alla globalizzazione e iniziano a spuntare locali che potremmo trovare identici a New York o a Londra. Diciamo che il rischio di perdere l’identità è quello che più mi preoccupa della gentrification. Alle grandi catene preferisco le realtà più autentiche e local.