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DESIGN

Elena Salmistraro

Oltre le etichette predefinite

Artista a tuttotondo profondamente legata alla sua città, Milano, che oggi accoglie la sua prima mostra personale. Un contenitore nuovo per Elena Salmistraro che, attraverso i suoi dipinti, mette in scena “la parte più intima di sé”

DI MARZIA NICOLINI

25 November 2024

Ambasciatrice Mondiale del Design Italiano a partire dal 2017, ha esposto le sue opere in alcuni dei più importanti musei, da Triennale Design Museum al Guggenheim di Venezia, Elena Salmistraro è tra le figure più rilevanti della scena artistica contemporanea milanese con la sua nuova mostra Alchimie nel Vuoto. Ospitata alla galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea dal 28 novembre 2024 fino all’8 febbraio 2025 e curata da Silvana Annicchiarico, l’esposizione esplora il lato più intimo e viscerale del lavoro di Salmistraro, attraverso disegni e dipinti che abitano uno spazio total white volutamente spoglio, trasformandolo in un universo popolato da creature ibride e deformi, dalla forte personalità. Classe 1983, lunghi capelli castani e vivaci turbanti, Elena Salmistraro si è formata al Politecnico di Milano e negli anni ha collaborato con marchi del calibro di Alessi e Nike. Milanese doc, ecco cosa ci ha raccontato.

Come ci si sente ad avere la propria prima mostra personale?

Provo una certa tensione mista ad emozione. È come se fosse un nuovo inizio poiché ho sempre avuto una certa ritrosia nel mostrare i miei disegni più intimi, quelli che non facevano parte della mia sfera lavorativa, perché appartenevano a una mia dimensione più personale e vulnerabile.

Che cosa è cambiato?

Sento che è arrivato il momento di aprirmi e di integrare questa parte con il mio lavoro nel design, nella grafica e nell’allestimento. Credo che mettere in relazione queste dimensioni possa offrire una visione più completa e autentica del mio percorso creativo.

Ci racconta quando e come è nato questo progetto?

Ho incontrato Antonio Colombo molti anni fa, quando disegnai un cappellino per la Cinelli. Da allora ci siamo sempre detti che avremmo dovuto fare qualcosa insieme, ma, come accennavo, sono sempre stata restia a mostrare i miei dipinti. Così, abbiamo pensato di chiedere a Silvana Annicchiarico se avesse voglia di dare ordine alle mie opere. Con la sua curatela e il suo sguardo esterno tutto ha preso un senso, abbiamo trovato un fil rouge che mi ha dato la forza e il coraggio di espormi. I disegni sono nati gradualmente, in momenti diversi, ma negli ultimi mesi li ho semplicemente ripresi e combinati tra loro.

Che cosa ha voluto raccogliere nella sua prima personale?

Ogni opera parla di me e del disegno come mio strumento per analizzare il mondo e me stessa. Attraverso di esso esorcizzo paure e trasformo mostri in amici e forme. Il vuoto si riempie di colore, per poi esplodere e diventare oggetto, vaso, totem, tappeto, scultura, spazio. Tutto prende forma e consistenza a partire dal disegno e dalla pittura. Nella mostra saranno esposte diverse tele e stampe, oltre a tre vasi e due totem in ceramica decorati a mano, un tappeto/arazzo e una scultura in legno.

Si sente più product designer o artista?

Ho sempre cercato di capire quale fosse il mio posto, ma ogni volta sembrava mancare qualcosa. Non riuscivo a sentirmi davvero a mio agio né come artista, né come designer. E ancora oggi trovo difficile definirmi pienamente in uno di questi ruoli. Così ho smesso di interrogarmi su questa questione. Del resto, già dalla fine degli anni Settanta le due figure hanno cominciato a sovrapporsi e intrecciarsi e credo che oggi non sia più così rilevante rinchiudersi in etichette predefinite.

Com’è cambiato il suo approccio al lavoro dai primissimi tempi sino a oggi?

Inizialmente sentivo il bisogno di esprimermi, ma allo stesso tempo avevo paura di mostrare appieno chi ero, forse a causa dell’influenza di un certo tipo di formazione universitaria. Temevo il giudizio. Rompere con le convenzioni e i manierismi, liberarmi dalle sovrastrutture, indagare i confini tra le varie discipline mi ha permesso negli anni di sviluppare un linguaggio personale, rendendo il mio lavoro sempre più coerente, comprensibile e intellettualmente onesto.

Negli anni ha ricevuto innumerevoli riconoscimenti. Quali l’hanno più  inorgoglita e perché?

Difficile dirlo con certezza, ma sicuramente sono le sorprese a riempirmi di orgoglio. Vincere agli esordi il Salone del Mobile Milano Award come miglior giovane designer è stato sicuramente motivo di grande gioia, così come il Frame Design Award come miglior designer e il premio della fiera di Francoforte. Tutti riconoscimenti inaspettati, ed è proprio questo che li rende preziosi. E poi ci sono i complimenti delle persone che contano davvero, sia a livello professionale che umano.

A che cosa sta lavorando al momento?

Sto ancora rifinendo alcuni dettagli della mostra, un processo che richiede molta attenzione ai particolari per far sì che ogni elemento si integri armoniosamente. Parallelamente, in studio ci stiamo dedicando ad altri progetti, alcuni dei quali potrebbero essere presentati al Salone del Mobile 2025. Ammetto che, al momento, preferisco non entrare troppo nei dettagli. Sebbene i concept esistano già, è sempre meglio aspettare che i progetti siano completi e pronti per essere mostrati al pubblico.

Parliamo di Milano, dove è nata e cresciuta. Che rapporto ha con la sua città?

Milano è una città che mi provoca sentimenti contrastanti. A volte mi sembra di vivere nella sua frenesia, nella sua pressione, e mi viene voglia di allontanarmi scappando in montagna. Ma quando sono lontana la sua mancanza si fa sentire. Quando torno mi rendo conto di quanto mi manchi. Nonostante tutto, Milano riesce sempre a emozionarmi.

Qual è la zona dove ha messo radici e cosa le piace di più?

Il mio quartiere, dove sono nata e dove abito da sempre, è un luogo dove convivono dinamismo e serenità. Tra corso Genova, Sant’Agostino e Ticinese ho tutto a portata di mano, non sento la mancanza di nulla. È un quartiere giovane e vivace, ma anche tranquillo e pieno di angoli dove rilassarsi. Al mattino presto le Colonne, la Darsena e i Navigli offrono uno spettacolo unico, di quiete prima che il caos prenda il sopravvento. Credo sia il quartiere perfetto sia per vivere, che per lavorare.

Ha visto la città cambiare negli ultimi dieci anni?

Milano è in continua trasformazione, e forse è proprio questa la sua forza. Rispetto a dieci anni fa molte cose sono cambiate, e anche le persone. Pensando al mio quartiere, posso dire che è diventato più elegante: la Darsena è finalmente completata, sono spuntati tanti locali vivaci e una nuova linea della metro è finalmente arrivata. Certo, qualche rumore, qualche intoppo e qualche aspetto negativo sono rimasti, ma forse sono le uniche cose che non cambieranno mai.

Ci svela alcuni dei suoi indirizzi meneghini preferiti?

Il mio bar preferito per la colazione in questo periodo è Un’altra cosa in via Scaldasole. È un luogo perfetto, intimo e molto accogliente, situato proprio sulla strada che prendo per raggiungere lo studio. Inoltre ha la perfetta torta margherita per me, che sono celiaca e non posso gustare molte delle opzioni tradizionali della prima colazione, come pasticcini e brioche. Per quanto riguarda l’arte, consiglio sicuramente Colombo in via Solferino, uno spazio che trovo particolarmente affine alle mie visioni. Per abbigliamento e design, invece, sono piuttosto selettiva: giro molto, cerco tanto, ma trovo poco. Tuttavia, mi piace molto La DoubleJ in Via Sant’Andrea 12.

Un augurio che si fa per il 2025?

Continuare a sorridere e avere più tempo per me. Ma soprattutto non perdere mai la passione e l’entusiasmo.

In apertura, Elena Salmistraro con le opere della mostra Alchimie nel vuoto. Foto Beppe Brancato

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