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STILI

La moda maschile tra equilibri e contrasti

Ci siamo lasciati alle spalle un’edizione particolare di Milano Moda Uomo, caratterizzata da un lato da un calendario un po’ scarico, dall’altro dalla visibilità a sorpresa di alcuni brand di nicchia e dalle proposte identitarie di alcuni big

DI GIULIANO DEIDDA

17 March 2025

La recente Milano Fashion Week dedicata allo stile maschile è stata caratterizzata da un calendario, ahimè, un po’ scarico. Si è percepita l’assenza di diverse griffe simbolo della moda italiana, che hanno preferito optare per una sfilata co-ed durante la manifestazione dedicata alla donna. Le ragioni sono state di due ordini diversi. Da un lato c’è la non felicissima congiuntura economica che coinvolge il settore, nonostante l’abbigliamento maschile risenta di questo fenomeno solo marginalmente. Dall’altro si sono verificate questioni contingenti che hanno riguardato diversi brand, come le dimissioni recenti di alcuni direttori creativi o anniversari importanti, da celebrare adeguatamente. Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, chi c’era ha sicuramente goduto di una visibilità maggiore rispetto ad altre edizioni più affollate, in particolare i brand giovani, emergenti e di nicchia, come PDF, Magliano, Dhruv Kapoor o JordanLuca. Proprio Jordan Bowen e Luca Marchetto, fondatori del marchio che unisce manifattura italiana e avanguardia British, sono stati tra i protagonisti della manifestazione, celebrando il loro matrimonio sul finale della sfilata. Non era mai successo in nessuna settimana della moda, nemmeno in quelle più all’avanguardia, per cui l’evento ha avuto una discreta risonanza, sfidando anche il rischio di far passare inosservata la collezione, composta da riedizioni di capi d’impatto della storia del marchio, indossati in passerella da amici e persone care dei due sposi. Quello che ha sfilato è stato infatti il guardaroba JordanLuca per eccellenza, degno di nota con o senza le nozze. Si è trattato di una carrellata festosa di proposte estremamente British, a partire dai tessuti di Harris Tweed e Marton Mills. La versione aggiornata dei capispalla inglesi è stata infatti il filo conduttore della collezione, dai montgomery ai trench.

L’apertura della manifestazione è stata affidata invece all’universo poetico di Pierre-Louis Mascia, che ha utilizzato una passerella scarna e consapevolmente fredda per far risaltare la morbidezza avvolgente delle proprie creazioni. Si è assistito allo sviluppo di un mash-up di stili che attraversa le epoche, mescolando pesi, silhouette, stampe, tailoring, casual e streetwear, indossati da modelli dall’aria sognante con sottobraccio dei dischi in vinile d’annata. Non sono mancate nuove stampe, sviluppate con Achille Pinto, un laboratorio di stampa tessile con sede a Como dal 1933. I motivi sono mescolati, dipinti, ridisegnati, composti e ricomposti, trasformati in una sottile miscela di tecniche sia analogiche che digitali, per decorare tessuti lussuosi. Anche Miuccia Prada e Raf Simons hanno giocato con i contrasti, attraverso combinazioni inedite, arte della quale sono entrambi maestri, e con il romanticismo, ma nell’accezione di passione e istinto. Quelli proposti nella collezione di Prada sono outfit assemblati in modo maniacalmente casuale, che ben rappresentano le contraddizioni esistenziali e estetiche della contemporaneità.

Al contrario, una delle caratteristiche di un marchio come Zegna è la ricerca dell’equilibrio. Il direttore creativo Alessandro Sartori ha sviluppato questa peculiarità in una sfilata intitolata Vellus Aurem, nome del gioiello nella corona delle lane del brand. Risultato di un progetto inaugurato nel 1963 dal fondatore Ermenegildo Zegna per supportare gli allevatori australiani nella ricerca della lana più sottile al mondo, ha raggiunto il record mondiale per la singola fibra nel 2023 con una finezza di 9,4 micron. Con quest’eccellenza  vengono tessute le stoffe più morbide e raffinate, la materia prima con la quale realizzare, collezione dopo collezione, un nuovo tributo alle radici, rispettoso nello spirito e libero nell’interpretazione. Anche Sartori ha quindi scelto la strada della spontaneità proponendo un guardaroba dall’elegante nonchalance, interpretato in passerella da un mix di uomini e ragazzi dal fascino particolare, tra i quali, a sorpresa, John Turturro. Preservare la propria identità e riuscire stagione dopo stagione a farla evolvere al passo con i tempi è il segreto del successo di una griffe. Per un veterano come Giorgio Armani per esempio il tutto passa attraverso la personalità, quella dello stilista ma anche quella di ognuno dei suoi clienti. La collezione è proprio dedicata a questo confronto. Si propone infatti come un’esplorazione di possibilità, non come una formula preconfezionata da riprodurre. Le silhouette morbide tipiche di Armani si enfatizzano, a partire dai capisala, lunghi e avvolgenti, mentre giacche e pantaloni dalla vestibilità confortevole scivolano sui corpi. Sono protagonisti i materiali nobili, lane fini, seta e cashmere, nella composizione di questo guardaroba dalle mille possibilità, che mescola formale e informale con carattere.

In un panorama di continua discontinuità nella direzione creativa delle case di moda, che porta spesso a identità evanescenti, è comunque confortante riconoscere e riconoscersi nello stile di una maison dall’immaginario solido. Ce lo hanno ricordato anche Dolce&Gabbana che, per la prossima stagione, hanno recuperato il glamour al maschile che è loro marchio di fabbrica da sempre. Non a caso la sfilata si intitolava Paparazzi e ha utilizzato un linguaggio estremamente familiare per il pubblico del brand. Divisa in due tempi, nella prima parte ha visto avvicendarsi proposte rilassate per la quotidianità, pellicce ecologiche, jeans baggy e maxi cardigan. La parte finale, come da tradizione, è stata dedicata alle proposte per lo showoff sul red carpet, con un trionfo di smoking dalle silhouette rétro.

 

L’articolo è stato pubblicato su Club Milano 74

 

 

In apertura, Zegna backstage 

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