Per il patron di Ponderosa Music&Art, quella dell’organizzazione di concerti è una vocazione che viene da lontano. Oggi la sua agenzia produce alcuni degli eventi più importanti del panorama italiano, tra cui Piano City e Jazzmi, vetrine autorevoli per gli artisti ma soprattutto contenitori mai sazi di creatività
DI PAOLO CRESPI
19 March 2025
Ponderosa nasce nel lontano 1967, in provincia di Varese, sotto forma di locale. Era un luogo bucolico, con dei laghetti e molto verde, dove iniziammo a fare i primi concerti, portandoci anche artisti internazionali. Il nome lo rubammo a una vecchia serie tv americana: era il ranch in cui si svolgevano le vicende di Bonanza. Ho dei soci che sono con me da molti anni: alcuni di loro frequentavano proprio il Ponderosa dell’epoca. Lo spazio si prestava molto bene agli eventi musicali. Lì organizzammo un festival folk, la prima convention di musica old time & bluegrass che richiamò spettatori da tutte le regioni e a cui parteciparono musicisti e giornalisti che tutt’oggi se ne ricordano.
New York fu fondamentale per allacciare o consolidare alcuni rapporti con musicisti e addetti ai lavori che mi hanno permesso in seguito di portare quella musica e quelle vibrazioni anche in Italia. Su tutti Arto Lindsay, John Lurie, Blonde Redhead…
Credo che la chiave sia più che altro la musica non convenzionale, quella che cerchiamo ancora oggi di proporre in tutte le sue forme. Questi format sono due unicum diffusi in città e ormai molto radicati, nei quali si può trovare musica per tutti i gusti: lo scorso anno, ad esempio, abbiamo avuto la techno fatta al pianoforte a Piano City e tre concerti hip-hop a Jazzmi…
Siamo una delle poche realtà in Italia che si cimenta in tutti questi aspetti dell’industria musicale. Per un artista è più facile lavorare ed emergere se si ha il controllo dell’intera catena. Siamo in grado di far uscire un disco, promuoverlo e mandarlo in tour, spesso partendo dai nostri festival, che sono una vetrina pur sempre importante.
I dischi restano dei biglietti da visita, degli oggetti con un valore e un’anima, anche se è senz’altro vero che stanno cambiando le modalità di fruizione e i device, e che probabilmente cambieranno ancora. Non siamo romantici per forza di cose, cerchiamo di tenere un occhio rivolto al futuro sapendo bene, però, da dove veniamo.
Abbiamo due progetti a cui tengo moltissimo in uscita. Uno, in realtà (Sketches of Spain, rivisitazione del celebre disco di Miles Davis ad opera di Michael Leonhart e del ballerino Israel Galvan), lo abbiamo già presentato a Jazzmi lo scorso anno e sarà in tour anche la prossima estate. Un progetto unico che fonde flamenco e jazz. L’altro si chiama L’Antidote e vede tre musicisti provenienti da aree geografiche diverse (Redi Hasa, Rami Khalife e Bijan Chemirani) in un dialogo musicale a metà tra contemporanea e world music.
Credo che Milano resti l’unica città europea in Italia, l’unica dove avvengano davvero le cose, e una delle poche con un’offerta sempre di qualità. Ovviamente non è facile viverci, per le questioni economiche che tutti ben conosciamo. Anche per questo crediamo molto nella riqualificazione delle periferie e cerchiamo con i nostri festival di arrivarci in maniera sempre più impattante.
Stiamo cercando di realizzare degli spazi per la creatività, che possano permettere agli artisti di creare e collaborare. Dei laboratori veri e proprio in cui potersi esprimere avendo a disposizione la migliore strumentazione e le condizioni più idonee. Sono due progetti ambiziosi, uno nel sud Italia, in Puglia, e uno al nord, in provincia di Varese, da dove provengo, che speriamo di poter aprire in breve tempo.
L’intervista a Titti Santini è stata pubblicata su Club Milano 74