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MUSICA

Thomas Umbaka

Voce e pianoforte on stage

Per il giovane compositore, la nuova edizione di Piano City sarà l’occasione per presentare al pubblico della rassegna milanese il suo primo album solista. Nell’intervista ci parla della sua ispirazione e del rapporto totalizzante con il suo strumento

DI PAOLO CRESPI

15 May 2024

Non è la prima volta che partecipi a Piano City. In cosa consiste la tua proposta di quest’anno?

Sono felice di presentare per la prima volta un mio album. Il pubblico del festival riconoscerà qualche pezzo perché qui, negli anni, ho sperimentato alcune delle composizioni. Per me è stato un luogo di crescita e perciò sarà un’occasione speciale, una sorta di restituzione.

Utilizzerai ancora l’elettronica? In che modo?

La componente elettronica per il momento è ridotta allo stretto necessario, quello che mi serve a usare la voce in modo strumentale, a mettere qualcosa in loop. Protagonista sarà come sempre il pianoforte, che da solo fa per cento.

Cosa rappresenta per te lo strumento con cui ti sei diplomato al Conservatorio Giuseppe Verdi?

Il pianoforte non mi annoia mai: lì dentro c’è tutto. È un oggetto indomabile e misterioso che non si concede sempre facilmente. Se e quando lo fa, ti permette una sintonia in grado di annullare ogni separazione: non esistono più strumento e musicista, ma un equilibrio più grande.

Qual è la musica altrui che ti piace ascoltare?

La risposta che non vorresti mai ricevere: tutta. Ma è vero. Mi basta cogliere un’espressione sincera, come quando mi accorgo che la musica è la pelle del musicista, che c’è una coerenza e il suono è proprio quello in cui crede, si tratti di un barocchista o di un trapper.

I pianisti che ti hanno influenzato di più?

Ce ne sono molti che mi hanno trasmesso cose bellissime, più che influenzarmi “stilisticamente”. Non amo riferirmi in modo esclusivo al pianoforte in relazione a quello che faccio. Secondo me ogni musicista dovrebbe ispirarsi a strumenti diversi dal proprio. Personalmente mi affascina molto il mondo della percussione, di cui anche il pianoforte in un certo senso fa parte.

Di cosa si nutre oggi il tuo linguaggio espressivo?

Mi concepisco come parte di un flusso e quanto esprimo, musicalmente e non, è il risultato di tutto ciò che vivo e mi circonda. 

Quando ti esibisci, quanto margine lasci all’improvvisazione?

Parecchio, ma l’improvvisazione puoi gestirla a diversi livelli. Oltre a “comporre estemporaneamente”, per me improvvisare significa rendere vivo quello che si suona, cioè lasciare spazio all’imprevisto, all’ispirazione del momento, alla libertà di modificare qualcosa rispetto a quanto ti sei prefissato. Più energia circola, più questo margine aumenta.

Due delle tue composizioni sono diventate soundtrack di un film e di un documentario. Ci racconti com’è andata?

Sia in un’occasione che nell’altra si è trattato di una colonna sonora: una serie di brani nati in stretta relazione tra loro e con l’immagine. Nel primo caso avevo appena 17 anni, una bella responsabilità. Nel secondo ero sicuramente più consapevole rispetto al progetto. Due esperienze diverse, entrambe molto molto belle.

Ti affascina più il cinema o il teatro?

Sono attratto da tutto ciò che ha a che fare con l’esplorazione dei corpi, con “l’utilizzo” di questa fonte inesauribile di possibilità. Il teatro ti dà tanto in termini di relazioni umane, perché sei in uno scambio continuo con tutti gli addetti ai lavori. E se sei anche tu in scena, “live”, è tutto letteralmente vivo, in una relazione palpabile col pubblico. Nel cinema sei un filo più distaccato sul piano umano, ma in una connessione più grande, immaginifica.

Qual è l’origine del tuo cognome?

Il mio cognome è calabrese e fuori da questa regione, mi rendo conto, suona esoticissimo (molto spesso mi chiedono se ho origini latinoamericane). Ci sono diverse varianti: Umbaca, Vumbaca, Bumbaca. E mi incuriosisce la somiglianza con molti nomi dell’Africa centrale, dove invece della “c” trovi la “k”: Mbaka, Ambaka, Ombaka…

Nel tuo album d’esordio, però, diventa Umbaka. Perché?

Volevo riportarlo a un suono, la sua dimensione più naturale, e la “k” mi è parso l’elemento ideale per farlo. È una lettera fertile. Nel sistema decimale moltiplica ed evoca la molteplicità delle persone che convergono nel fare musica. E nel fenicio antico indicava una mano aperta. Mi piace il suono: se lo ripeti all’infinito diventa una specie di mantra.

Milano ti ha già visto on stage. Quali vibrazioni condividi con questa città?

Si potrebbero dire un sacco di cose, ma di sicuro Milano è un’esplosione di idee, tendenze, punti di vista che attivano di continuo la mente. Io cerco di abbracciare le differenze e di incanalarle in un linguaggio universale. Questa città è stata ed è determinante per la musica che faccio. A volte mi chiedo che suono uscirebbe se vivessi altrove…

 

Informazioni 

Thomas Umbaca e la Toy Piano Orchestra di Piano City Milano
Concerto per pianoforte e orchestra
Domenica 19 maggio ore 14.00
Casa Emergency | via Santa Croce 19 

 

L’intervista a Thomas Umbaka è stata pubblicata su Club Milano 71. Clicca qui per sfogliare il magazine.

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