È uno dei musicisti più interessanti del Regno Unito, noto per la sua capacità di sperimentare una varietà di generi diversi. Tra i protagonisti di JazzMi 2023, grazie al suo talento riesce a mescolare in modo straordinario le sonorità jazz con la musica funk
DI MARILENA PITINO
24 October 2023
Sono un cantante, uno scrittore e un produttore. Di solito suono jazz ma il mio background è influenzato anche dal funk, dalla musica dell’Africa occidentale e da molti altri generi. Mi definirei una persona eclettica che ama sperimentare.
Ho iniziato a suonare jazz quando vivevo a Norwich, lì avevo molta libertà, con alcuni amici condividevamo un garage dove ci riunivamo per suonare. Ancora oggi riaffiorano diversi ricordi di quegli anni: a casa ascoltavo musica e scrivevo spesso canzoni con mio padre e mio fratello. Ci dilettavamo nel produrre musica funky, punk e rock.
Londra è una metropoli incredibile, straordinaria, multiforme dove poter entrare in contatto con altre culture e soprattutto svariati generi musicali. Ho studiato Jazz al college e ho imparato tanto, soprattutto dalla gente: le persone qui arrivano da ogni parte del mondo. Vivere in questa città mi ha aiutato a definire la mia musica e il mio stile.
Sono influenzato da diversi generi musicali. Ho la capacità di inserire diversi elementi all’interno della stessa scatola. In passato spesso gli esperti del settore non sapevo con esattezza in quale categoria inserirmi. Trovo infatti noioso doversi attribuire un genere preciso; sono cresciuto apprendendo tutta la musica, per questo ci sono diverse influenze in quello che realizzo ogni giorno.
Mi sono trovato a Berlino durante il periodo del lockdown, era pieno inverno e faceva molto freddo. Trascorrevo il mio tempo in uno studio di registrazione che avevo affittato. È stato un periodo solitario, ma ho scritto molta musica, che è stata catartica. Una sorta di terapia. Ho anche lanciato il mio primo album Breathe Deep, pur non potendo promuoverlo con un tour. Ho avuto la sensazione che la mia carriera stesse facendo un passo indietro, perché appunto non era possibile esibirsi. Ma al tempo stesso ho pensato che fosse giusto fermarsi un momento per riflettere e rallentare, senza lasciarsi travolgere dal ritmo incalzante della vita quotidiana.
La musica è la mia vita. È parte della natura, ci circonda in ogni momento, come il semplice cinguettio di un uccello.
Ho scritto la maggior parte del disco quando mi trovavo a Berlino. In quel periodo mi sono totalmente disconnesso dal mondo, soprattutto dai social media, ho letto molto e riflettuto tanto. Ho anche scritto parecchie poesie, tutto sembrava arrivare in modo naturale. Quando sono tornato a Londra mi sono riunito con la mia band per registrare e produrre l’album.
Sono tanti i grandi musicisti che mi hanno ispirato, ma ciò non avviene coscientemente. Ascolto, studio la musica, e tutto arriva con spontaneità nelle mie composizioni.
The Spoon rappresenta come vediamo noi stessi. È una riflessione sull’importanza di creare la nostra immagine e riscoprire la nostra vera identità. Nel corso della vita le persone possono aiutarci a conoscere noi stessi, ma bisogna imparare a guardarsi attraverso i propri occhi e non quelli degli altri.
Cambia costantemente. Cerco sempre di ascoltare e apprendere. Ad esempio per The Spoon ho scritto e prodotto demo, dopo ho condiviso il materiale con la band. E poi siamo passati alla registrazione in studio, inserendo alla fine elementi che avevo già prodotto. Qualche volta invece produco da solo. Il flusso creativo non è mai lo stesso.
Sono stato in Italia diverse volte, è uno dei miei posti preferiti, perché la gente reagisce all’ascolto della musica, si appassiona. Il pubblico riesce a restituirti molto e vuole condividere con l’artista la propria cultura. In futuro mi piacerebbe trascorrere più tempo in Italia e veder crescere i miei fan.
L’intervista a Oscar Jerome è stata pubblicata su Club Milano 68. Clicca qui per sfogliare il magazine.