Mentre esce il suo nuovo disco Mariachi Desperado Running Club, il cantautore milanese classe 1980 racconta il suo modo di intendere il mestiere di musicista. Parola chiave: libertà. A partire dal live, dalle scelte di registrazione decisamente poco convenzionali, senza dimenticare la grande passione per tutto ciò che è viaggio e mindfulness
DI MARZIA NICOLINI
28 May 2025
È un album che ha impiegato molto tempo a emergere, come se fosse rimasto a lungo in profondità, in attesa del momento giusto per venire alla luce.
È un lavoro che affonda le radici nei miei ascolti preferiti di sempre, da Beck a Ben Harper, ma che si apre anche a sonorità sintetiche che evocano l’approccio dei Tame Impala. L’album è nato a metà tra studio e palco: alcune tracce le abbiamo registrate in studio con Davide Ferrario, dove finalmente abbiamo trovato il suono giusto, altre dal vivo, per restituire quella dimensione istintiva e viscerale che è parte integrante della mia musica.
È fondamentale. È il motivo per cui ho iniziato a fare musica: il live rappresenta l’essenza, il momento in cui tutto prende forma, anche in modo imprevedibile. Il lavoro in studio è importante, certo, ma tende a fissare le cose. Suonare dal vivo mi dà pura gioia. Ho sempre cercato situazioni fuori dagli schemi per fare live, come quando mi sono messo in testa di fare un tour a piedi lungo la Via Francigena, fermandomi ogni due giorni per suonare dove capitava. Non sono formule pensate per il mercato musicale, ma sono quelle in cui credo. La musica per me deve restare un mestiere artigianale, personale, in cui si inseguono sogni e visioni.
Un giorno mi ha contattato il mio amico Frank Lotta, conduttore radiofonico di Deejay on the road e, come me, grande appassionato di viaggi avventurosi. Mi ha detto che aveva creato un documentario di un suo viaggio in Patagonia e gli sarebbe piaciuto che firmassi la colonna sonora. Il tutto, con consegna entro tre giorni. In maniera del tutto inaspettata e con la magia che spesso contraddistingue il mestiere di musicista, in un’ora mi è venuto un brano in inglese. Una splendida congiunzione astrale.
Mi sento vicino a chi, come Stephen King o Leonard Cohen, sostiene che l’ispirazione arrivi se sei pronto ad accoglierla, magari proprio quando sei già al tuo posto alla scrivania. Occorre esercitare e affinare l'arte della scrittura, ma – sopra ogni cosa – la propensione all’ascolto. Forse sembrerà banale dirlo, ma per scrivere canzoni e, forse, per fare arte in generale, è fondamentale ascoltare gli altri, ascoltarli veramente. Poi, certo, nel mio caso è importantissimo anche viaggiare, camminare, fare movimento fisico. In fondo, sono tutte forme di ascolto profondo, e senza ascolto, nella scrittura come nella musica, si ha ben poco da dire.
Sono due percorsi – quello della musica e quello della mindfulness – che si sono avvicinati lentamente, ma con naturalezza. Ho cominciato a praticare la meditazione anni fa, in un momento complesso della mia vita, nel quale la mindfulness mi era stata indicata in terapia per gestire l’ansia. Poi, durante un cammino da Milano a Roma, lungo la Via Francigena, mi sono fermato in un monastero di tradizione buddhista tibetana, a Pomaia, dove si teneva un master in neuroscienze in collaborazione con l’Università di Pisa. Da lì ho voluto approfondire, e oggi sono anche insegnante di mindfulness, con due master universitari all’attivo. Queste pratiche mi hanno insegnato che tutto quello che serve, in fondo, lo abbiamo già dentro di noi. La musica e la mindfulness sono entrambe vie per imparare ad ascoltare davvero, per entrare più in relazione con sé stessi e con il mondo. Non si tratta tanto di migliorarsi, come si tende a credere, quanto di scoprire le nostre risorse, scoprire che tutto ciò di cui abbiamo bisogno è dentro di noi.
Questo è un tasto dolente (ride, Ndr). Di recente mi ero preparato per correre la Marathon des Sables nel Sahara. Mi ero allenato ed ero determinatissimo. Il problema è che ho avuto un problema di salute e non sono riuscito a ottenere il certificato medico richiesto per la gara. A questo punto sono ancora più convinto che il prossimo anno sarà quello buono per partecipare.
Nel mio caso, affiancato dagli esperti, mi alleno con lo zaino in spalla, in condizioni difficili, di gran caldo e con terreni sabbiosi. Di fatto si tratta di stringere amicizia con la fatica. E con te stesso.
Non ho mai avuto strategie di marketing e non ho mai fatto precise scelte a tavolino. Con Gué, ad esempio, abbiamo frequentato lo stesso liceo, il classico Parini, nello stesso anno, ma non ci siamo mai frequentati dopo. Anni dopo ci siamo ritrovati sotto la stessa etichetta, e da lì è nata l'idea di una collaborazione: ho partecipato in acustico a tre suoi brani. Ho sempre avuto grande rispetto per il percorso dei Club Dogo, anche se provengo da un altro mondo musicale. L'hip hop lo ascolto volentieri. Con Jovanotti, invece, è successo tutto molto spontaneamente: un giorno ricevo un messaggio da lui su Twitter, poi mi chiama per propormi di collaborare al singolo L’estate addosso. È stato un momento molto intenso: stentavo a crederci.
Un altro caso fortunato: in un tour italiano, aveva perso tutta l’attrezzatura e il suo discografico, che mi conosceva, gli aveva fatto il mio nome. A quel tempo gli aveva fatto ascoltare dei miei brani. Un anno dopo, sono finito ad aprirgli il concerto a Imola. Le cose, se devono succedere, succedono.
Sono nato e cresciuto in via Sardegna, poi mi sono spostato in zona De Angeli, comunque sempre da quel lato di Milano, che amo e conosco come le mie tasche. Ricordo che il primo disco l’ho suonato in ogni angolo della città: in un anno abbiamo macinato 82 concerti solo a Milano, senza avere uffici stampa, né alcun supporter di promozione. Luoghi come il Nidaba Theatre in via Gola, dove si suona blues e folk con grandi artisti internazionali, o la Salumeria della Musica, oggi purtroppo chiusa, sono stati i miei spazi d’elezione. Poi c’è GBL Guitars, un negozio meraviglioso di chitarre dove potrei perdermi per ore. E per i libri, adoro concedermi lunghe esplorazioni alla Hoepli, in centro: non delude mai.
In questo periodo sto ascoltando tantissimo blues, da Howlin’ Wolf ai Maddy Waters. Ma cerco sempre di restare aperto a tutto. Quando mi accorgo che sto evitando un genere musicale per pregiudizio, mi impongo di ascoltarlo e di evitare i giudizi a priori. Ho sempre amato anche l’hip hop, l’elettronica, la musica ambient e oggi sto approfondendo con grande interesse la musica synth. Perché mai togliersi delle possibilità?