Milanese d'origine ed ex berchettiano, Andrea De carlo è uno scrittore dalle mille sfacetature, che tra i suoi interessi vanta la musica, il cinema, la fotografia e la pittura. Il suo ultimo libro, Villa Metaphora, è un romanzo corale in cui 14 personaggi, confinati in una re,mota isola del Mediterraneo, si confrontano sulla società contemporanea
DI ALESSIA DELISI
01 November 2013
La mia storia riflette le mie curiosità, che sono molteplici e in campi diversi. Non mi ha mai interessato vivere in un universo di soli libri, ma al contrario ho sempre sentito il bisogno di frequentare altri mondi e altri linguaggi, per arricchire e mantenere vivo lo spirito con cui scrivo.
Non avevo voglia di un alter ego, un personaggio specchio in cui riflettermi. Scrivere dal punto di vista di personaggi tanto diversi, da me e tra loro, è stata un’esperienza affascinante, e per certi versi liberatoria. In ognuno di essi, anche in quelli che mi stavano più antipatici, ho scoperto un pezzetto di me, e credo che la stessa cosa succeda a chi legge Villa Metaphora. Lo spostamento di prospettiva è uno dei processi misteriosi che un romanzo rende possibili.
I miei romanzi nascono dalle mie esperienze, dalle mie osservazioni sul mondo, dalle curiosità che mi occupano, dalle domande che mi pongo. Creatività per me vuole dire catturare gli elementi che sono dentro e intorno a noi e ricombinarli in base all’ispirazione e alla fantasia.
Sono legato a ognuno dei miei romanzi, per ragioni diverse: a Treno di panna perché è stato il primo pubblicato, a Due di due perché è quello più condiviso da successive generazioni di lettori, a Uto perché mi ha dato l’occasione di sperimentare, a Villa Metaphora perché non avevo mai affrontato una storia così sfaccettata, con così tanti personaggi e tante storie che si intrecciano
La curiosità. L’attenzione. Una padronanza totale della lingua. Poi gli serve una forma di dissociazione controllata, che consiste nella capacità di calarsi con totale partecipazione nei panni dei propri personaggi, e nello stesso tempo essere in grado di leggere il romanzo come se fosse opera d’altri, esercitando la più implacabile delle critiche.
Il Grande Gasby di Francis Scott Fitzgerald.
Milano continua a sembrarmi la meno provinciale delle città italiane, la meno chiusa in se stessa, la più curiosa e irrequieta, e questo è l’aspetto positivo. L’aspetto più negativo e difficile da spiegare è l’incapacità da parte di una città così ricca di intelligenze creative di rifletterle nel proprio tessuto, in forma di soluzioni urbanistiche e iniziative culturali di vera avanguardia.
Due colleghi d’ufficio che mangiano un sandwich elaboratamente farcito, in piedi, davanti a un bar, in una via di traffico e cercano di darsi spiegazioni sul mondo, battendo i piedi per l’irrequietezza e per il freddo umido di una giornata d’inverno.
Intervista pubblicata su Club Milano 17, novembre – dicembre 2013. Clicca qui per sfogliare il magazine.