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SPETTACOLO

Enrico Bertolino

Un "diversamente"italiano che ama Milano

Enrico Bertolino, milanese doc classe 1960, vive la tv dal suo interno, racconta l'Italia e dal 2 settembre torna in prima serata in Rai con il suo amico Max Tortora nella short comdedy 'Impazienti'. E pensae che lui all'inizio era solo un impiegato di banca. 

DI NADIA AFRAGOLA

16 August 2014

Il suo “Glob diversamente italiani” non è un programma di informazione e neppure di satira. Un bene che non abbia una collocazione precisa?

È un programma storico per la Rai, siamo alla 14esima edizione. Avevamo uno studio nuovo, delle esigenze diverse date dalla collocazione domenicale. Abbiamo fatto quello che potevamo anche in termini di risorse. Realizzare un varietà intero con quei soldi non si poteva, un programma d’informazione a quell’ora nemmeno, senza andare sul talk puro, abbiamo optato per una ibridazione che fosse gradevole.

Ha paragonato Renzi a Savonarola. Come ha fatto a portare a casa il 40% degli italiani?

Ha trovato terreno fertile, anche grazie a Grillo che ha fatto paura alla gente. Fece così la Democrazia Cristiana. In più Renzi ci mette un’ottima comunicazione, l’empatia e l’età.

Si vota ancora per un ideale in Italia?

Sì, anche se non ci sono più gli ideali collettivi, ce ne sono tanti di casta. In Italia sembra di essere in un grande Palio di Siena dove tutti si riscoprono contradaioli.

Oggi non si può che parlare male dell’Italia e degli italiani. È d’accordo?

No. Gli italiani sono migliori di coloro che li hanno governati, non siamo tangentisti: siamo un popolo di navigatori, che ha avuto varie derive.

Ha recentemente dichiarato in merito all’Expo che: “Se i turchi tornassero a riprenderselo saremmo quasi felici”. Un’Italia non all’altezza?

Rassegnata più che altro. Un po’ di sommossa civile andrebbe fatta, e certe figure andrebbero bandite soprattutto se già coinvolte in affari poco leciti. Le opere sono a metà, non credo si corra il rischio di una seconda Italia ‘90. I turchi lo riprenderebbero volentieri, come prenderebbero la Costa Concordia: proviamo a dare un attimo di credibilità al nostro sistema.

Che rapporto ha con Milano?

Eccellente. Sono nato a Milano e vivo nello stesso quartiere, l’Isola, nonostante svariati tentativi di abbruttire la zona con ecomostri, fatti a uso e consumo della magistratura. È rimasto ancora un quartiere civile, con le sue botteghe, dove la gente si incontra e parla.

Non pensa mai che tra tutti i laureati della Bocconi che compaiono in televisione lei, in fondo, è il meno divertente?

Bella domanda. Il mio era un corso di laurea in Economia e Commercio, con indirizzo turistico ed era già divertente farlo, poi avevo come rettore Mario Monti e l’euforia si smorzava subito. Il contrasto tra politica e comicità è da sempre stridente: ci dicono che non dobbiamo occuparci di politica. Ok, ma che sia reciproco. La Russa e Salvini pensano di essere ancora divertenti.

Anche lei ha una igienista dentale?

Ho un dentista siciliano, maschio, con cui parlo anche di donne, ma ci limitiamo a parlarne. È più pratico, lo avesse capito anche Berlusconi non sarebbe al punto in cui è.

Mondiali di calcio: l’Italia è tornata a casa da disgraziata. Avrebbe portato Giuseppe Rossi?

Li avrei portati tutti, sono un affettivo, avrei portato anche Montolivo in gita. Il gruppo ha sempre vinto. Abbiamo vinto nell’82 quando eravamo molto affettivi, poco concreti e in un girone pessimo; abbiamo vinto nel 2006, quando non eravamo favoriti. La squadra di calcio è come la squadra di governo. Ecco perché sappiamo tutti cosa fare ma non sappiamo come fare

a farlo.

Torniamo in tv. The Voice lo ha vinto una suora. L’Eurovision una drag queen. Non è troppo?

È marketing ed è ciò che va di moda. Né la Conchita con la barba, né la suora che canta hanno destato il mio interesse. Abbiamo il presidente del consiglio che fa battute, quello vecchio che… l’italiano vuole questi modelli per mettersi in pace con la coscienza. C’è anche il comico in politica: non manca nulla.

Meglio un faccia a faccia con la Bignardi o Fazio?

Fazio lo conosco da anni, siamo della stessa “scuderia”: passare da lui è stato benefico. Parliamo di due approcci

diversi: Fabio è più professionale, ma con Daria non ho avuto le difficoltà riscontrate da alcuni miei colleghi che mi hanno preceduto.

Travaglio o Gramellini?

Non butto nessuno giù dalla torre, piuttosto butto giù l’intera torre o cerco di salirci anch’io. Il giornalismo di Travaglio ti fa incazzare, anche troppo; Gramellini ti fa riflettere e commuovere.

Meglio un libro di Fabio Volo o della Lucarelli?

A Fabio invidio la quantità dei libri venduti. Selvaggia mi piace: si vede che non ha paura. Si schiera, prende posizione e questo le fa onore soprattutto perché siamo in un paese in cui amano tutti essere un po’ sul pero e un po’ sul pomo.

In epoca 2.0 dove i giornalisti sono spesso sostituiti dai fashion blogger di che futuro possiamo parlare?

Sono trend che lasciano spazio al tempo che trovano. Il 2.0 è fondamentale ma il contatto umano serve. Il giornalismo rimarrà sempre quello della domanda fatta in pochi secondi che mette il pubblico in fuori gioco.

 

Foto di Anna Tinti

Intervista pubblicata su Club Milano 21, luglio – agosto 2014. Clicca qui per scaricare il magazine. 

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