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MUSICA

Alfredo Nuti

Sangue misto romagnolo

Tra i protagonisti della nuova edizione di Jazzmi, i Supermarket si raccontano attraverso il fondatore e band leader Alfredo Nuti. Dalla scelta del nome, al tentativo originale di dare nuova vita a musiche e attitudini vetuste, riciclate in un contenitore moderno

DI PAOLO CRESPI

30 October 2024

Supermarket: una sigla ombrello per progetti musicali che dal 2010 aggregano di volta in volta diversi musicisti intorno alla poliedrica figura di Alfredo Nuti “dal Portone”. Cosa significa questa appendice del tuo cognome?

Viene dalla mia casa natale, il “Portone”, appunto, un podere sull’Appennino tosco-romagnolo nel quale hanno vissuto tutti i miei antenati per secoli, sempre lì, finendo per essere identificati come i Nuti “dal Portone”. Per quanto riguarda la sigla “Supermarket”, che riconosco essere la peggiore mai inventata per una band, nasconde un decennio di esperienze divertenti, che ha avuto come protagonisti i musicisti romagnoli più matti e avanguardisti. Io per anni ho fatto solo da autore per uno zoo in cui tutto avveniva da solo, grazie al talento e all’unicità di chi avevo intorno. Oggi cerco di dare a questa esperienza una forma compositiva più moderna e stabile, senza che si perda lo spirito delle origini, orientato a un sincretismo totale tra world music, tropicalismo e tutti i generi dell’Universo conosciuto, che ancora mi sembra divertente e fertile.

Cosa vi mantiene vivi da tanti anni?

Potrei millantare un’attitudine innata verso la psicologia comportamentale, o una conoscenza profonda dell’uomo nei differenti contesti sociali. Potrei parlare di empatia, di amicizie inossidabili e convergenze artistiche irripetibili... Ma sul lungo periodo, la longevità di un progetto è garantita dal fatto che si pagano i musicisti bene e si lasciano a casa i rompicoglioni. È come il secondo principio della termodinamica: chi lo nega non ha nessuna possibilità di aver ragione.

Il radicamento nella Romagna è DOC?

È una delle poche regioni in Italia dove fare il musicista non è una cosa strana, dato che a ogni angolo si trovano famiglie che si sono mantenute e hanno prosperato con la musica. Un gigantesco indotto fatto di orchestre, concerti, procuratori, discoteche, società cooperative/editoriali e tv private ha reso possibile, qui, una diffusione vasta della musica come professione. Il vero radicamento nella tradizione, se c’è, è questo: non sentirsi un alieno o un freak solo perché si è fatta una scelta diversa. Questo aspetto della nostra terra ha influito su di noi molto più del liscio, un linguaggio bellissimo, che in genere usiamo con molta parsimonia.

Chi sono oggi i componenti del gruppo?

Attualmente viaggiamo in trio, e siamo un po’ tutti polistrumentisti. Ci sono io che suono chitarra MIDI, clarinetto, campionatore, sintetizzatori, e ogni tanto canto. Marcello “Gianduia” Detti suona gli ottoni (trombone, bombardino e tromba pocket), le percussioni, un imbuto e il suo set di conchiglie polinesiane. Carlo Vallicelli è alla batteria acustica, alle percussioni, ai cori e anche lui smanetta con l’elettronica.

Qual è il minimo comune denominatore dei brani del vostro ultimo album Italo barock(Q) e perché questo titolo?

Il “barocco”, nel sentire comune, definisce la forma sbilenca, strampalata, bizzarra e anche un po’ artificiosa. Perfetto. D’altra parte la fascinazione dei musicisti sei-settecenteschi per i giochi matematici mi ha in un certo senso aperto gli occhi, perché in queste opere è possibile ammirare un orientamento verso la partitura intesa come semplice “operazione” d’arte e di ingegno, che è liberatoria. Ho capito che mi piace la musica quando sembra essersi scritta da sola, dove io, in pratica, non compaio. Molti nostri brani, anche dei semplici ragtime, nascono da artificiose operazioni matematiche, che rimangono nascoste a chi ascolta. Anche la “Q”, ovviamente, è un segreto.

Come si inserisce il vostro sound in un festival come Jazzmi?

I nostri concerti sono sempre divisivi. C’è chi esce dicendo che non ha mai visto una cosa così bella e c’è chi dice che facciamo schifo (con una certa prevalenza per i secondi, almeno per ora). Ad ogni modo – e mi rivolgo a quelli che magari sono intenzionati a venire: siccome facciamo praticamente di tutto, qualcosa di vostro gusto dovrebbe esserci di sicuro.

Com’è il vostro rapporto con Milano, capitale italiana della musica?

Abbiamo suonato tantissimo a Milano, sia nei circuiti “ufficiali” che in quelli più sconosciuti, e ci siamo sempre divertiti alla grande. Questa città, anche se in maniera non sempre continua, rimane il luogo italiano del progresso, la nostra piccola finestra verso l’Europa e il Mondo. Come si può non amarla? Su una cosa però devo deluderti: la capitale universale della musica è Gatteo Mare. Lo sanno tutti.

L’intervista ad Alfredo Nuti i è stata pubblicata su Club Milano 72

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