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Bais

Faccio parte di un club che non esiste

Pubblicato lo scorso aprile, Radical Pop è il terzo album di Bais, cantautore e polistrumentista originario di Bassano del Grappa, ma milanese d’adozione. L’artista ci racconta la visione alla base di questo lavoro, caratterizzato da un sound contemporaneamente rétro e futuristico, pop e indie

DI GIULIANO DEIDDA

11 June 2025

Tre parole per definire il suo sound.

Questa è la domanda più difficile che si possa fare a un artista, non riesco a rispondere a bruciapelo.

Allora sarò più diretto. Cos’è il Radical Pop?

Radical pop è un genere musicale inventato in cui il cantautorato pop si veste con abiti inaspettati. È andare alla radice delle cose per tornare in superficie con una consapevolezza nuova. Questo titolo è nato per gioco, per descrivere un momento in studio mentre stavamo producendo il disco. C’erano sequenze di sintetizzatori che si mescolavano all’afa estiva torinese nell’aria, sulla scrivania una birra, una fetta di formaggio e un posacenere. Radical pop è quasi un ossimoro e mi sembra un titolo che rispecchia la natura contraddittoria e ambigua delle canzoni al suo interno. È un frutto e una reazione a questi tempi spigolosi e vorticosi, dove il passato è un’utopia ed il futuro una condanna.

Come si colloca questo album nel suo percorso?

Di sicuro è un lavoro di rottura rispetto al mio passato. Si tratta però di una rottura costruttiva. Ho cercato di fare una ricerca a livello di suoni e di scrittura, cercando di spingermi verso atmosfere che sono fuori dalla mia comfort zone. È una raccolta di dodici canzoni pop vestite con abiti sporchi e con stracci, costruite in un modo non giusto o comunque diverso da come ci si aspetterebbe.

Quali sono le sue radici musicali?

Diciamo che a livello di suoni prendo ispirazione dalla musica americana e inglese. Mi viene da citare The Strokes e tutta la scena indie newyorchese della prima metà degli anni Duemila, l’Indie Sleaze celebrato nel documentario Meet Me In the Bathroom dei registi britannici Will Lovelace e Dylan Southern. Per quanto riguarda la scrittura, ovviamente ammiro un cantautorato italiano, a partire da Paolo Conte.

Esiste davvero una scena indie italiana contemporanea? Lei ne fa parte?

Mi piacerebbe molto sentirmi parte di una scena, ma ancora non succede. Non so da cosa dipenda, forse l’evoluzione dei social ha creato difficoltà a un certo tipo di artisti. Qualcosa si sta muovendo, in questo momento è possibile immaginarsi una scena, ma è presto per dire quando si concretizzerà di nuovo. Magari è un bene che non ci sia un movimento a cui essere collegato, ma mi piacerebbe se esistesse. Lo so, suona un po’ contorto…

Perché si è trasferito a Milano da Bassano Del Grappa?

Sono arrivato qui per frequentare l’università. Mi sono laureato in Design degli Interni al Politecnico. Prima già suonavo, ma è qui che ho iniziato a scrivere canzoni in italiano.

Come hanno influito questi studi sulla sua estetica?

Parecchio, anche perché parallelamente al mio percorso universitario, ho anche studiato fotografia. Credo che tutto ciò da un lato mi abbia fornito un immaginario preciso a supporto della mia musica. Questo è molto bello, ma a volte troppa consapevolezza può essere un limite. Radical Pop è il primo album la cui copertina non è una fotografia ma un artwork firmato da Gio Pastori, proprio per sottolineare la rottura di questo lavoro rispetto ai primi due.

Dove potremo sentire dal vivo i nuovi pezzi?

Ho iniziato un piccolo tour a fine maggio e abbiamo già suonato a Piacenza e Bologna. Questo mese sarò a Vicenza il 14 e a Lugano il 21. Il 20 agosto mi potrete sentire a Catanzaro e il 12 e il 13 settembre a Trento.

In apertura, giacca camicia Carhartt WIP, camicia Bottega Bernard, jeans Tela Genova, penny loafers G.H.Bass, calze Paul Smith, location Concept store e showroom dSegni, via dei Bossi 2. Foto di Ludovica Arcero

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