In occasione dell’uscita del libro “Le storie dietro le fotografie”, il fotografo di Philadelphia incontra il pubblico milanese e racconta 30 anni di carriera, di incontri e soprattutto di storie attraverso 320 scatti e 14 reportage.
DI Marilena Roncarà
31 October 2013
La folla è quella dei grandi eventi. Una lunga coda di persone circonda paziente il perimetro della piazza antistante l’entrata del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, sino a spingersi ancora oltre, lungo via San Vittore. L’occasione è la lectio magistralis di Steve McCurry, uno dei più acclamati fotografi contemporanei, che a giudicare dall’entusiasmo che circola tra i presenti, pare godere della fama di una vera rockstar. Per la cronaca, bisogna precisare che la maggior parte delle persone in attesa se n’è tornata a casa senza entrare, dato che i 250 posti disponibili erano ampiamente insufficienti a coprire le richieste. Va però anche annotato che Steve McCurry, prima di cominciare l’intervento, si è scusato con chi mesto non è potuto entrare, promettendo un altro incontro in una location più capiente, riuscendo anche così a catturare consensi. L’esplosione di entusiasmo attorno a questo fotografo giramondo, è continuata senza cedimenti per tutta la serata, tra lo scorrere di foto proiettate sul grande schermo e racconti dell’autore che alternavano fatti della nostra storia recente a ricordi personali.
Così, tra un’esortazione a non smettere di seguire le proprie passioni, e dichiarazioni come “per me non c’è mai stato niente di più bello che prendere in mano la macchina fotografica e andare in giro a fare foto”, (e forse è proprio per questo che ha passato tutta la vita viaggiando), comincia a definirsi il sistema delle massime di McCurry. “Per me è stato un grande onore essere stato in prima fila in tanti eventi della storia, mostrare il mondo nelle sue differenti sfaccettature con la speranza di poterlo cambiare in meglio”, scandisce il fotografo nato 63 anni fa a Philadelphia. E a chi vuole intraprendere la professione raccomanda l’importanza di essere testimoni, senza mai rinunciare alla curiosità di prendere parte a quello che succede.
Tra le domande che arrivano senza sosta dal pubblico, non manca quella sul ritratto di Sharbat Gula, la ragazza afghana dagli occhi verdi, che dopo essere stata sulla copertina del National Geographic è diventata quasi un’icona dei nostri tempi. E lui (il nostro fotografo), con candore conferma che quello scatto, realizzato nel 1984 nel campo profughi di Nasi Bah in Pakistan, gli ha cambiato la vita, tanto da spingerlo a tornare a cercare proprio lei, la protagonista della foto, ben 17 anni dopo, fino a ritrovarla. Mentre alla questione riguardo se e come la tecnologia abbia cambiato il modo di fotografare, risponde con tranquillità che l’ha solo migliorato, ma ciò che non è mai cambiato è l’attitudine del fotografo, che è la stessa oggi come 30 anni fa.
“Per essere un fotografo devi provare gioia quando scatti, a volte devi cogliere l’attimo, altre volte devi semplicemente stare in ascolto di quello che ti succede intorno”, sottolinea McCurry, che conclude: “Quando fotografo non penso mai alla bellezza, cerco di raccontare una storia, e provo a farlo nel modo più onesto possibile”. Tutti gli appassionati di fotografia sono avvisati: questa volta la storia non finisce qui. Per il prossimo incontro, bisogna aspettare solo qualche mese. Parola di McCurry.
Foto in apertura: Ragazza afgana con le mani sul volto, di Steve McCurry, 1984.
Foto di chiusura: Steve McCurry fotografato dal suo assistente durante un'alluvione monsonica in India, 1983.